9 marzo 2016
In morte di Gino Corioni
Vincenzo Cito per La Gazzetta dello Sport
Una delle ultime immagini di Corioni che ci ha più colpito risale a qualche anno fa, alla presentazione di un libro organizzata dal quotidiano «BresciaOggi». La sala del locale era strapiena, le voci si accavallavano nel frastuono generale, impossibile scambiare due parole senza gridare. All’improvviso lui si rivolse al vicino di tavolo e, come per incanto, nella sala cadde il silenzio più assoluto. Tutto era passato in secondo piano: stava parlando Gino e qualunque cosa avrebbe detto sarebbe stata più interessante. Commentò l’ultima assemblea di Lega, fu subissato di applausi e solo quando ebbe finito, le conversazioni ripresero. Piaccia o no, era - semplicemente - l’uomo che ha segnato la storia calcistica di Brescia degli ultimi 30 anni. E come tale sarà ricordato.
LE ORIGINI Come tante grandi intelligenze, era partito dalla provincia. Non proprio da lontanissimo, perché Ospitaletto – come amava ripetere spesso – è solo una prosecuzione di via Milano: una decina di chilometri e sei lì. Lo diceva negli anni Ottanta agli amici imprenditori per convincerli a venire alle partite della sua squadra, oggi sprofondata nell’anonimato della seconda categoria, allora invece seconda forza della provincia, molto vicina a diventare la prima. Capitò quando l’Ospitaletto (C2) sfidò il Brescia (C1) nella coppa Italia di categoria: il sorpasso - sul campo - non ci fu ma i «cugini di campagna» - come li aveva argutamente definiti Corrado Orrico, allora tecnico delle rondinelle - diedero filo da torcere. Per l’ulteriore scatto ci volle un altro strepitoso personaggio di quei tempi, Gigi Maifredi, ex rappresentante di champagne, che portò le bollicine anche nel calcio. Col suo gioco spettacolare condusse in carrozza l’Ospitaletto in C1 nel 1987 e l’anno dopo si fece trascinare da Corioni in un’avventura ancora più stimolante, quella di Bologna: subito promozione dalla B alla A e, nel 1989-90, qualificazione in coppa Uefa. Per il tecnico si aprirono le porte della Juventus, Corioni, dopo qualche anno, arrivò dove tutti lo volevano, e cioè al Brescia. A quei tempi una società-ascensore: saliva in A e subito scendeva in B e i primi anni capitò anche con lui, nonostante gli Hagi e i Raducioiu. Tornato in A nel 2000, Corioni si stufò e fu la genialata della vita, perchè convinse Roberto Baggio a venire a Mompiano. Con tutto il rispetto, è come se Del Piero qualche anno fa invece che in Australia o in India, avesse deciso di chiudere la carriera a Carpi. Dopo c’è stato di peggio, feroci contestazioni gli hanno rovinato la vita, ma questa è storia e mai nessuno potrà cancellarlo: Corioni è l’uomo che ha portato il più grande calciatore italiano degli ultimi 30 anni alla periferia del pallone.
NON FU’ PIU’ DOMENICA Con Robi la squadra - strappata a una depressione secolare - cambiò volto, mentalità, ambizioni, si salvò alla grande per 4 anni nel grande ciclo di Mazzone, conquistò una finale di Intertoto, attirò altri big come Toni e Guardiola. Ci si abbonava solo per il gusto di vedere Baggio giocare. Andato via lui, come ricorda una celebre canzone, non è più stata domenica e il Brescia ha ripreso a fare su e giù. L’ultima volta in A nel 2011 e subito B
IL DECLINO Poi sono stati anni duri, il rapporto ormai logorato con una città che non credeva più in lui, il difficile rapporto con gli ultras e le istituzioni, il sogno di un nuovo stadio puntualmente naufragato, la crisi economica, l’insorgere della malattia. Poco supportato dagli altri imprenditori della zona, l’uomo si è sentito solo sopportato, pur sapendo navigare in acque difficili: mai un punto di penalizzazione per il Brescia fino all’anno del fallimento, che ha segnato anche il disimpegno di Corioni. Amareggiato anche dall’euforia dilagata il giorno dell’addio, come se l’ambiente si fosse liberato di un peso ormai insostenibile, Gino ha scelto la strada del silenzio. Senza mai dimenticare la sua creatura, che ha continuato a seguire in tv sino all’ultimo giorno. Senza Corioni, oggi non è più Brescia.
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Carlos Passerini per il Corriere della Sera
A chi gli chiedeva quale fosse stato l’affare della vita, Gino Corioni rispondeva «i cessi». Non calciatori di dubbia qualità, intendeva proprio i sanitari, che produceva: «Perché il calcio è una tentazione irresistibile, ma un debito». Figlio sveglio di una famiglia umile della campagna bresciana, la fabbrichetta l’aveva aperta nel ’62 dopo il diploma da geometra: Saniplast, accessori per toilette, l’insegna la si vede dall’A4 passando per Ospitaletto, il paese in cui era nato 78 anni fa, in cui ha vissuto tutta la vita, in cui ha passato gli ultimi giorni prima della crisi respiratoria.
Domani i funerali, annunciati anche Baggio e Guardiola, due dei tanti campioni ingaggiati nei 22 anni di reggenza padronale del Brescia, «la mia medicina», come lo chiamava da quando nel 2000 s’ammalò per la prima volta di cancro ai polmoni: gli diedero sei mesi. Una tempra d’altri tempi, lui che aveva un passato da ciclista dilettante. Dopo l’apprendistato con l’Ospitaletto di serie C e la gran cavalcata col Bologna dalla B alla Uefa a metà anni 80, nel ’92 si comprò la squadra di casa: «Sindaci e colleghi mi promisero sostegno – raccontò al Corriere —. Mi avessero lasciato costruire lo stadio di proprietà, come pensavo già vent’anni fa, oggi Brescia avrebbe due o tre scudetti». Invece sono seguiti due decenni abbondanti di gioie e dolori, molta B e un po’ di A, con il picco del quinquennio d’oro 2000-2005 e il 7° posto del 2001, il punto più alto dei 105 anni di storia del club oggi in B.
Corioni è stato uno degli ultimi padri padroni del calcio italiano, un self made man autentico ma non privo di un certo romanticismo, sulla scia degli Anconetani e dei Rozzi. Tutti amici suoi, tutti figli legittimi del miracolo italiano, indimenticabili protagonisti di quel meraviglioso teatrino domenicale che era 90° Minuto. Invaghito del bello sia in campo sia in panchina (Hagi, Pirlo, Hamsik, Toni, Raducioiu, Lucescu, De Biasi, Mazzone), ha amato il Brescia fino a ipotecare la casa. Ha retto finché ha potuto, poi nel 2014 la cessione delle quote. «È un po’ – sorrise – come lasciare una donna che sai amerai per sempre».
Marco Mensuati per la RepubblicaDalla C1 con l’Ospitaletto alla Coppa Uefa con il Bologna, e poi ancora oltre, sempre in campo, sempre in mezzo ai calciatori, sempre con lo stesso stile, diretto, a volte troppo, ma comunque genuino. La grande corsa di Gino Corioni si è fermata ieri, nella sua villa di Ospitaletto, dopo una lunga malattia. Aveva 78 anni.
I soldi, Corioni, li aveva fatti con la Saniplast, l’azienda specializzata in arredamenti da bagno, settore nel quale aveva cominciato come semplice disegnatore. Ma la sua vera attività, il suo motivo di vita, era il pallone. Mondo nel quale riuscì a realizzare più di un sogno. Come quello di portare il Bologna in Coppa Uefa nel 90 al termine di una cavalcata trionfale partita nel 1985 dalla serie B. Ma di sogni, Corioni ne ha realizzati molti altri: basti pensare che il suo Brescia riuscì a schierare in campo campioni come Hagi, Guardiola, Baggio, Pirlo e Toni non proprio degli habitué delle squadre di provincia. Era il Brescia di Mazzone, quello, una delle squadre più sosprendendti degli ultimi anni.
Vulcanico, esperto, intenditore e grande «mangia allenatori», apparteneva alla stirpe degli Anconetani e dei Rozzi. Era rimasto alla guida del club fino all’estate del 2014 quando i problemi finanziari che travolsero il club portarono prima alla sua estromissione dai vertici e e poi alla cessione. Molte le testimonianze di affetto arrivate dal mondo del calcio. Cesare Prandelli, ex ct e amico personale di Corioni, ha ricordato di quando «in un momento particolare della mia vita venne a trovarmi a casa mia e facemmo una lunga chiacchierata. Non potrò mai dimenticarlo».
Gentile anche il ricordo di Roberto Baggio, che negli anni di Brescia conobbe uno dei periodi più felici della sua carriera. «Per il bene che Gino Corioni ha fatto al Brescia, per la passione e l’amore uniti a una competenza rara nel calcio, sono sicuro che andrà in Paradiso. E organizzerà una squadra anche lì».
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Massimiliano Nerozzi per La Stampa
«Adesso Gino andrà in Paradiso e organizzerà una squadra anche lì», diceva ieri Roberto Baggio, una delle star che Luigi Corioni, per tutti Gino, riuscì a portare nel suo fantastico cinema di provincia, lo stadio “Rigamonti”: presidente del Brescia per 22 anni, dal 1992 al 2014, se n’è andato la scorsa notte agli Spedali Civili della città, dopo una lunga malattia. Aveva 78 anni, una moglie e cinque figli.
Più di un presidente, Corioni è stato un fenomenale impresario, che riuscì a far diventare i suoi sogni quelli di chi doveva convincere: da Baggio a Guardiola e Hagi. «Del resto, da imprenditore era stato un grande venditore», lo ricordava commosso Gigi Maifredi, l’allenatore che Corioni portò alla serie A, insieme al suo «calcio-champagne». Aveva pure un fiuto notevole per il talento: lanciò Pirlo, scovò Hamsik, diciassettenne, intravide le potenzialità di Toni. Posseduto da una simpatia contagiosa, che esternava con quel suo vocione roco e un sorriso dolceamaro, non l’aveva perso negli anni della battaglia contro la malattia. Con il suo modo di fare, e la sua umanità, aveva portato le grandi stelle a Brescia, gente che poi si affezionava: da Pirlo, che ieri l’ha ricordato, a Pep Guardiola, che era stato a trovarlo a fine anno. Quel Brescia, sul campo, si divise tra gioie (cinque promozioni) e dolori (cinque retrocessioni), ma diventò un modello fin lì inesplorato in periferia. Per dire, dalla cronaca di una di quelle stagioni, contro la Juve: lancio di Pirlo, stop e gol di Baggio. Altra categoria.
Nato 78 anni fa a Castegnato, nel Bresciano, Corioni aveva fatto fortuna negli anni Sessanta con la Saniplast, azienda di sanitari con sede a Ospitaletto, da dove partì la sua scalata al pallone, dopo aver sfiorato la presidenza del Milan, alla fine dell’era Farina. Dai dilettanti, porta l’Ospitaletto in serie C1, per poi traslocare allenatore (Maifredi) e mezza squadra a Bologna, in serie B, a fine anni Ottanta. «In tre anni andremo in Uefa». La solita sparata? Macché. I rossoblù vanno subito in A e, due stagioni dopo, in Europa. Nel 1992 finisce male (retrocessione), ma poiché senza calcio Corioni non può stare, acquista il Brescia: Lucescu, Mazzone, De Biasi in panchina, Guardiola e Baggio in campo. «Senza Corioni, giocatori così non li avrei mai allenati», ricordava Carletto Mazzone. E a Brescia non li avrebbero visti: ecco perché, ieri, piangevano tutti.