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 2016  marzo 11 Venerdì calendario

I due ragazzi della Roma bene che hanno torturato e ucciso Luca Varani raccontano due storie diverse: Manuel Foffo dice che lo hanno ammazzato «per vedere l’effetto che fa», Marco Prato sostiene che l’amico è stato colto da raptus «durante un rapporto sessuale a tre»

• Luca Varani, 23 anni. Studente, d’origine jugoslava ma adottato quando aveva pochi mesi da una famiglia romana, esile, fragile, carattere debole, fidanzato da nove anni con la coetanea Marta Gaia Sebastiani, a Capodanno aveva fatto amicizia un Marco Prato di anni 29, padre italiano, madre francese, solito farsi chiamare Pratò, con l’accento sulla o, laurea in Scienze politiche, organizzatore di eventi, sogni di attore e modello, una breve relazione, in passato, con la soubrette Flavia Vento. Costui da martedì 1° marzo, in abiti da donna, parrucca, smalto e tacchi a spillo, si tappò nella casa dell’amico Manuel Foffo, 30 anni, universitario fuori corso, figlio del proprietario di una delle più importanti agenzie di pratiche auto di Roma  e del ristorante «Dar Bottarolo» a Pietralata. I due per tre giorni nell’appartamento al decimo piano di un palazzo di via Igino Giordani, periferia est di Roma, bevettero alcolici, tirarono 1.500 euro di coca, fecero sesso tra di loro e pure con un “Alex Tiburtina”, soldato. Poi giovedì sera gli venne l’idea di «uccidere qualcuno per vedere l’effetto che fa», come ha raccontato Foffo, o di «simulare uno stupro con un prostituto-maschio», come invece sostiene Prato. Uscirono in macchina ma non trovarono nessuno che faceva al caso loro, allora pensarano al Varani, che non sempre aveva soldi e spesso scroccava. La mattina dopo Prato gli mandò un messaggio WhatsApp promettendogli 120 euro per un incontro sessuale, lui accettò. Appena bussò a casa del Foffo, gli offrirono un bicchiere d’alcol con dentro l’Alcover, una sostanza nota come il metadone degli alcolisti che Manuel possedeva «perché me lo ha prescritto il medico, visto che ho sofferto di etilismo». Poi i due gli indicarono il bagno: «Ti vogliamo pulito, fatti una doccia». Quando finì di lavarsi, mezzo nudo, in preda ai conati di vomito per quello che aveva bevuto, gli annunciarono: «Abbiamo deciso di ucciderti». Gli diedero una martellata in testa per stordirlo, una coltellata alla gola per impedirgli di gridare, gli strinsero una corda attorno al collo. Poi ancora coltellate in tutto il corpo, una quindicina, e ancora martellate per frantumargli le mani. La mattina dopo il Varani rantolava sul pavimento quando uno dei due gli diede una coltellata al cuore, lasciandogli la lama conficcata nel petto. Quindi i due, «mentre Luca era in terra» in una pozza di sangue, s’addormentarono abbracciati sul letto, nella stessa stanza. Al risveglio misero il cadavere sul letto per pulire il pavimento e gettarono i vestiti del morto «in un cassonetto sotto casa». Sabato però il Foffo, colto dai rimorsi, raccontò tutto al padre che chiamò i carabinieri. Marco Prato fu rintracciato poche ore più tardi in una camera dell’Hotel San Giusto, vicino piazza Bologna: aveva cercato d’ammazzarsi ingerendo barbiturici e superalcolici [tutti i giornali del 7 e 8 marzo 2016; Fia. e Fr., Corriere della Sera 9/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 9/3; Rinaldo Frignani, 11/3; Fulvio Fiano 11/3; Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3].

• La telefonata a Varani dal cellulare di Prato (preceduta da un sms) è partita alle 7 e 12 minuti di venerdì 4 marzo. La sua morte dovrebbe risalire alle 9.30 [Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3].

• Secondo Foffo la pugnalata al cuore l’avrebbe inferta Prato, che sostiene invece l’esatto contrario. I due non sanno che l’autopsia ha stabilito non essere stata quella coltellata a uccidere Luca, ma tutte le sevizie che hanno preceduto la sua morte [Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3].

• Il racconto di Foffo: «Ho trovato io i due coltelli e il martello. La corda non so da dove è spuntata fuori. Abbiamo colpito tante volte. Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze, non ha mai gridato. Mentre lo colpivamo non provavo piacere però non ero in grado di fermarmi anche se ho avuto dei momenti in cui provavo vergogna per quello che facevo. Lo abbiamo davvero torturato. Ricordo solo che la morte è sopravvenuta dopo molto tempo e Luca ha sofferto molto. Non ricordo quante coltellate aveva alla gola, è stato Marco che ha inferto la coltellata al cuore lasciando dentro il coltello, Luca era ancora vivo prima di quella coltellata [...] Abbiamo avuto per un momento l’intenzione di sbarazzarci del corpo di Luca. Lo abbiamo prima messo sul letto e coperto perché mi dava fastidio vederlo e abbiamo pulito per terra. I suoi vestiti li abbiamo messi in uno zaino che abbiamo buttato in un cassonetto in via Magna Grecia. È stato qui in zona San Giovanni che bevendo un bicchiere di vino Marco mi ha confessato che si sarebbe tolto la vita, cosa che mi ha ripetuto quando siamo andati a bere in un altro bar alla stazione Tiburtina. Siamo quindi andati in piazza Bologna per vedere l’albergo dove Marco si sarebbe voluto suicidare». Manuel Foffo rientra nel suo appartamento. «Ho aperto tutte le finestre e mi sono seduto in salotto, non mi faceva piacere entrare in camera perché c’era il cadavere. Mi sono cambiato perché ero ancora sporco di sangue». «Alle 7.30 avevo appuntamento con i miei familiari per andare al funerale in Molise di mio zio». Ed è lì che decide di parlare al papà. «La prima persona alla quale ho confidato l’omicidio è stato mio padre, ero in macchina con lui e gli ho detto di aver assunto cocaina e fatto l’omicidio, senza dargli i dettagli». L’uomo convince il figlio ad andarsi a costituire insieme a un avvocato. «Non so come mi sia potuto trasformare in un animale del genere, la stessa cosa penso di Marco, non so come sia potuta accadere una cosa del genere» [...] «A casa sono venuti a sniffare e bere anche altre persone, come Alex e Giacomo, ma non ci è scattato il trip» [...] «Quando Luca è entrato in casa ci siamo guardati negli occhi ed è scattato un clic: era lui la persona giusta» [Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 8/3; Grazia Longo, La Stampa 9/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 9/3].

• «Anche in passato avevo avuto un momento in cui volevo far del male a una persona, non so come questo maturasse tra me e me, ma non ho mai pensato potesse concretizzarsi» (Manuel Foffo) [Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 8/3].

• Mercoledì 9 marzo ha parlato per la prima volta Prato. Costui sostiene che la piega violenta è stata decisa da Manuel Foffo: «Nei due giorni che siamo stati a casa sua abbiamo avuto numerosi rapporti». All’interno dell’appartamento arrivano alcune persone, tra cui Alex, un amico di Manuel, con cui a turno hanno un rapporto sessuale. «Ma a lui non bastava, voleva qualcosa di più forte, di violento con una prostituta. Venerdì mattina siamo usciti ma non abbiamo trovato niente e allora io ho convocato Varani con whatsapp». «Quando Luca è arrivato nell’appartamento è stato Manuel, non io, a versargli un farmaco nella vodka. Poi abbiamo cominciato un gioco erotico e Manuel mi ha chiesto di strozzare Luca. Io ci ho provato, ma non ce l’ho fatta a finire. Luca era intontito, Manuel lo ha colpito tante volte a coltellate e a martellate». «Eravamo strafatti di coca, io non ce l’ho fatta ad oppormi alla morte di Luca. Lui si lamentava “Non voglio morire” e allora Manuel gli ha tagliato le corde vocali per farlo stare zitto». La coppia poi si è addormentata sul cadavere. «Al risveglio ero disperato – prosegue Prato –, l’ho coperto per pietà. Manuel è sceso dalla madre che gli ha dato degli stracci per pulire e poi mi ha obbligato a pulire tutto il sangue. Mi comandava su tutto». Infine la decisione di farla finita. «Manuel si voleva sbarazzare del cadavere. “Se vuoi, te la sbrighi tu” gli ho detto aggiungendo che volevo uccidermi. Allora siamo andati in due farmacie e Manuel, con una sua ricetta, mi ha comprato 4 flaconi di barbiturici e poi mi ha dato 110 euro per l’albergo dove ho cercato di uccidermi». Prato entra nell’hotel verso le 3 di sabato mattina, i carabinieri lo salvano sabato verso le 20, dopo la confessione di Manuel [Grazia Longo, La Stampa 10/3].

• Ancora Prato: «Sono andato a casa di Manuel martedì sera, con vestiti maschili e una borsa con una parrucca e altri abiti femminili, questa volta la droga l’aveva comprata lui. Poi serviva altra cocaina ed è venuto Giacomo che abbiamo mandato via. Io mi sono vestito da donna e siamo andati a dormire. Mercoledì abbiamo usato altra cocaina e abbiamo chiamato Alex: ho avuto rapporti anche con lui ed è andato via giovedì mattina. Non avevamo l’idea di nessun omicidio, non se n’era mai parlato nei nostri deliri. Manuel voleva che diventassi la sua bambolina, aveva anche il delirio di uccidere il padre. Quando aveva questi deliri io cercavo una terza persona. Così siamo usciti per cercare una “marchetta”, io sempre vestito da donna. Siamo andati a piazza della Repubblica, a Villa Borghese e a Valle Giulia, ma non abbiamo trovato nessuno. Non siamo andati in giro per uccidere. Non lo volevamo. Manuel voleva avere un rapporto estremo con lo stupro. Siamo tornati a casa alle 6.30 di venerdì mattina. Abbiamo chiamato Luca e gli abbiamo offerto 150 euro. Quando è arrivato gli ho aperto la porta sempre vestito da donna, lui ha cominciato a drogarsi con noi. Io e Luca abbiamo iniziato a fare sesso e Manuel assisteva. Lui ha bevuto il drink e ha iniziato a stare male, è crollato. Lo abbiamo messo sul letto e Manuel mi ha detto “strozzalo”, io ho provato, ma Luca si è ripreso, mi ha scansato e non sono riuscito a fermarlo e a quel punto Manuel è impazzito è andato in cucina, ha preso un martello e ha cominciato a colpirlo, ho cercato di calmarlo inutilmente. Poi ha preso un coltello e lo ha colpito ancora ma Luca non moriva... Gli abbiamo messo una coperta sul viso per non vederlo, respirava ancora in modo affannoso. Non potevo più sopportare tutto questo. Manuel voleva essere baciato in testa per avere la forza da me per uccidere Luca. Non voleva farlo soffrire, voleva solo ucciderlo. Poi mi disse: “Questa cosa ci legherà per la vita”» [Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 11/3].

• Secondo Prato la scintilla dell’omicidio nasce in Foffo durante un rapporto a tre con Luca, in cui Manuel interviene «dopo aver leccato i tacchi a spillo ed essersi fatto camminare sul corpo partecipando all’eccitazione sessuale». Racconta Prato: «Manuel era come impazzito mi ha chiesto prima di versare un farmaco nel bicchiere di Luca e poi dopo che questo aveva cominciato a stare male mi ha chiesto di ucciderlo: “Questo stronzo deve morire”, urlava in preda a un improvviso e insensato odio e repulsione verso Varani. Ero infatuato di Manuel e ho cercato di assecondare la sua follia omicida, obbedendo in modo passivo alla sua richiesta di strozzarlo» [Fulvio Fiano, Corriere della Sera 11/3].

• Nella stanza dell’albergo di piazza Bologna in cui Prato lo scorso sabato notte è stato trovato in stato di semi-coscienza, gli investigatori hanno trovato cinque flaconi di Minias, un sedativo in gocce, e sette bigliettini di addio: in nessuno si fa riferimento all’omicidio di Varani. I carabinieri, con l’aiuto del reparto scientifico, in queste ore stanno analizzando il contenuto delle boccette di Minias cercando di determinare l’esatta quantità di medicinale assunta da Prato. Perché quel suicidio potrebbe essere una farsa, una messa in scena allestita per aggravare la posizione di quel complice contro cui ieri si è scagliato nell’interrogatorio in carcere. A portare gli investigatori su questa ipotesi, tutta da verificare, sono stati i bigliettini scritti da Prato in albergo. Non si fa mai menzione di Varani, del sangue, dell’orrore. Sembrano preconfezionati. Non parrebbero scritti da un ragazzo sotto l’effetto di cinque flaconi di sedativo, ma da una persona pienamente cosciente. Quel Marco Prato che, stando al racconto di Foffo, per messaggiare di volta in volta con gli altri personaggi che sono entrati e usciti dall’appartamento di via Igino Giordani non ha usato il proprio cellulare: «Ho detto a Marco di non fare più questa cosa, ma ha continuato lo stesso a prendere il mio telefono e a utilizzarlo. L’invito a Luca (Varani, la vittima di cui Foffo dice di non avere il numero in rubrica, ndr) è stato fatto dal mio telefono». Forse con il progetto di crearsi un paracadute in caso avesse davvero deciso di uccidere [Lorenzo D’Albergo, la Repubblica 10/3].

• Manuel Foffo dice di aver incontrato Marco Prato solo tre volte, lo definisce «gay», mentre di sé dice: «Io sono eterosessuale». Però ammette di «aver avuto un rapporto orale con lui, quando ci siamo conosciuti, la notte di Capodanno. La cosa mi ha dato fastidio e avevo deciso di non vederlo più». Ma Marc aveva girato un video e con quello lo teneva sotto ricatto [Grazia Longo, La Stampa 9/3].

• L’ordinanza con cui il gip Amoroso ha convalidato l’arresto in carcere per Manuel Foffo e Marco Prato parla di «delirio sadico», di «modalità raccapriccianti» dell’omicidio e di «un crudele desiderio di malvagità» [Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3].

• Valter Foffo, padre di Manuel, ha scoperto di avere un figlio assassino sabato pomeriggio. Erano ai funerali dello zio «morto giovedì», tutta la famiglia e anche Manuel appunto, il figlio «intelligente e studioso» quel giorno insolitamente «strano, imbambolato, non riusciva a parlare e io, da astemio, ho pensato fosse ubriaco...». «Hai bevuto?». «No papà, ho preso della cocaina». «Cocaina? Ma ti rendi conto di quanto sei sceso in basso?». «No papà, sono sceso molto più in basso. Abbiamo ammazzato una persona». Valter Foffo non ci voleva credere: «Continuavo a chiedergli dettagli, chi dove quando, ma lui dava risposte vaghe, non ricordava, era evidentemente ancora sotto l’effetto degli stupefacenti. Mi ha detto che non sapeva chi avessero ucciso, “non lo conosco, è l’amico di un amico”, e anche sul quando non aveva certezze, “quattro o cinque giorni fa”. Lasciata la chiesa abbiamo cercato i carabinieri, l’hanno ammanettato qui nel mio studio, davanti a me [...] Voglio credere che sia stata la droga a mandarlo fuori di testa, altrimenti cosa dovrei pensare, di aver generato un mostro? Mio figlio studiava e aiutava noi al lavoro, scavando nel suo passato al massimo troverete la patente ritirata, se ci fossero stati precedenti legati all’alcol o alla droga l’avrei saputo e fatto curare, quindi io dico: che roba era quella che hanno preso? Cosa c’era dentro visto che tutti e due i ragazzi sono usciti fuori di testa? A meno di non pensare che tutti i cocainomani sono assassini, qualcuno mi dovrà rispondere, per questo abbiamo chiesto le analisi tossicologiche» [Erica Dellapasqua, Corriere della Sera 8/3].

• Il padre di Marco Prato è Ledo Prato, un nome di spicco nell’ambiente culturale, segretario generale dell’Associazione Mecenate 90 presieduta da Giuseppe De Rita, docente in diverse Università nei corsi di specializzazione in marketing dei beni e delle attività culturali. Ieri era attonito, chiuso in un silenzio doloroso nella sua casa vicino a piazza Bologna. La famiglia di Marco non aveva mai condiviso la scelta del figlio di lavorare negli «eventi» dopo la laurea in Scienze politiche alla Luiss e il master in marketing a Parigi. «Ma non potevano fare niente, Marco era deciso», racconta una vicina. Deciso, come lo era stato quando aveva fatto coming out per vivere la sua omosessualità, come racconta una amica: «Era un ragazzo timido, complessato per il suo fisico. Era grassottello, piccolo. Poi quando ha smesso di fingere di essere eterosessuale si è trasformato, è diventato un fico. Flavia Vento? Una fidanzata di copertura, niente più» [Maria Corbi, La Stampa 8/3].
 
• Flavia Vento ammette di aver avuto «un flirt» con Marc Prato due anni fa, febbraio 2014, «ma durò sì e no un mese, ci vedemmo in tutto cinque volte, qualche bacio poi la storia finì come tante altre storie, senza drammi. Marc era un bel ragazzo, mi piaceva, così rimanemmo amici. L’ultima volta l’ho visto un mese fa...». «Con me non è mai stato violento, mai alzato le mani, mai soprattutto sniffata cocaina in mia presenza, perché sapeva che io sono contraria alle droghe» «Marc era una persona carina. Mi accompagnava, anche dopo che la nostra storia era finita, a portare i miei sette cani a spasso nei giardini dell’Eur, parlavamo fitto di natura e di mare. Quest’estate era venuto pure in vacanza a casa mia, a Sabaudia». «Se Marc ha fatto quello che ha fatto, la nostra amicizia finisce qui, storia chiusa, non andrò a trovarlo neppure a Regina Coeli. Sono sotto choc...» [Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 8/3].

• Prato soffriva terribilmente per la sua condizione omosessuale, tanto da desiderare ardentemente di operarsi per diventare una donna [Grazia Longo, La Stampa 9/3].

• Già un mese fa Marco Prato si era rinchiuso nel suo appartamento a piazza Bologna insieme a un trentenne cocainomane come lui, riempiendolo di botte. In quella circostanza la vittima di calci e pugni è stato salvato grazie alla madre che, preoccupata per la sua sparizione, si è rivolta al 112. Una mossa dettata dal fatto che tutti gli amici del figlio contattati al telefono avevano spiegato di non essere insieme a lui. Tutti tranne Marco Prato. A differenza degli altri, Prato non ha mai risposto alle incessanti chiamate della madre disperata. Di qui la decisione di quest’ultima di rivolgersi ai carabinieri. La scoperta nella casa dello sballo è stata devastante: Marco Prato e l’amico trentenne completamente strafatti e quest’ultimo gonfio di botte. È stata presentata una denuncia per lesioni personali, che però è stata sorprendentemente ritirata [Alessandra Longo, La Stampa 9/3].

• I Varani andarono a prendere Luca in un orfanotrofio in Jugoslavia per strapparlo alla guerra, adottarlo e portarlo a Roma, per garantirgli una famiglia, un futuro. Il papà, Dario, artigiano tappezziere con impresa individuale, di fronte al cadavere del figlio: «Mia moglie non ha neanche la forza di venire a vederlo. Lo abbiamo preso che aveva pochi mesi e già da piccolo è stato male. E ora questi due disgraziati ce l’hanno ucciso» [Ilario Lombardo, La Stampa 8/3].

• La fidanzata di Luca, Marta, su Facebook: «Sei stato troppo buono e ingenuo con le persone sbagliate» «Lo amo, lo amerò per sempre. Vorrei che tutti lo ricordassero per quel ragazzo dolce e sensibile che era e non per quello “debole” e a volte troppo presuntuoso» [Ilario Lombardo, La Stampa 8/3].
 
• Marta e Luca erano conosciuti a scuola. Lei studentessa all’alberghiero, lui all’Itis Albert Einstein. Dopo il diploma, da poco Marta era finita a lavorare in una società di catering. Lui, appassionato di matematica, doveva ancora capire cosa fare [Ilario Lombardo, La Stampa 8/3].

• L’ultimo post di Luca, che è finito nella casa dove lo hanno torturato e ammazzato  accettando una proposta di sesso gay a pagamento, è contro i matrimoni omosessuali: «Dio ha creato Adamo ed Eva e non Adamo e Claudio» [Ilario Lombardo, La Stampa 8/3].