Corriere della Sera, 8 marzo 2016
«Insicuro, geloso, meschino, ossessivo, fissato con il sesso, puntiglioso e arrogante». Il Salman Rushdie privato raccontato dalla sua ex moglie
Uno scrittore di successo inseguito dalla condanna a morte di un ayatollah conosce una bellissima modella, brillante e poliglotta, a una festa. I due si innamorano, vanno a vivere insieme; lui le porta la colazione a letto ogni mattina, mano nella mano compaiono alle feste più esclusive di Manhattan. Lui, una sera, le presenta la band di un suo amico irlandese: gli U2. Soltanto Danielle Steel, dall’alto dei suoi 800 milioni di copie, riuscirebbe a raccontare una storia simile senza cadere nei cliché più biechi del genere d’appendice: d’altronde la storia d’amore – e il matrimonio – tra Salman Rushdie, autore de I versi satanici, e Padma Lakshmi, ex modella e presentatrice televisiva ( Top Chef ) sembrava davvero troppo bella per essere vera: dieci anni d’amore (il matrimonio ne è durato cinque, prima del divorzio nel 2009). Ora Lakshmi, in un libro, racconta l’altra faccia di quella storia d’amore, e dal mood alla Danielle Steel si passa decisamente a quello dell’Ingmar Bergman di Scene da un matrimonio.
Rushdie viene descritto come un uomo insensibile, freddo, ossessionato dal sesso. Le liti continue, l’aridità di lui, le sue numerose meschinità. Lui che definisce lei «un cattivo investimento» quando la moglie rifiuta le sue avance; lui che arriva a sostenere che la malattia della moglie – l’endometriosi – sia in realtà una scusa per non fare sesso. Le scenate di gelosia. I silenzi. Proprio l’endometriosi della modella è stata la causa del litigio finale, scrive Lakshmi: lei tornò a casa dalla clinica dopo un intervento di 5 ore e il giorno successivo lui partì per un viaggio di lavoro spiegando che «the show must go on», (lei, e questo è un tocco alla Jackie Collins, appena fu in grado di camminare si recò non dal medico a togliere i punti di sutura ma da un avvocato divorzista: fine della storia).
La fama di Rushdie come marito e compagno non è buona: le testimoni d’accusa cominciano a essere numerose. I quattro matrimoni del romanziere – con Clarissa Luard dal 1976 al 1987, con Marianne Wiggins dal 1988 al 1993, con Elizabeth West dal 1997 al 2004; e l’ultimo con Padma – sono sempre finiti malissimo, con accuse poco simpatiche. L’identikit è più o meno sempre quello: un uomo insicuro, geloso, meschino, ossessivo e fissato con il sesso, puntiglioso e arrogante. Anche l’ultima compagna Pia Glenn ha detto di lui dopo la fine della storia cose molto cattive («è immaturo e codardo»), guadagnandosi una risposta adeguatamente acida che pare uscita da una pagina di Joseph Anton, l’autobiografia di Rushdie: «Pia è una donna instabile che porta sempre con sé un grande secchio radioattivo pieno di stress».
Proprio in Joseph Anton Rushdie aveva scritto di quella modella «americana di origine indiana che aveva grandi ambizioni e progetti segreti», dal «regale narcisismo», affetta da sbalzi d’umore e avida, «tanto ambiziosa da cancellare ogni altro sentimento», sincera nell’ammettere di portare «dentro una “me” cattiva che fa cose cattive». Rushdie aveva anche scritto della fine di quella storia: «Alla fine l’ha persa, ma è stato meglio veder svanire un’illusione e vivere nella realtà del mondo come è davvero. Aveva capito che nessuna donna avrebbe potuto trasformare il mondo come lui avrebbe voluto che fosse».