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 2016  marzo 08 Martedì calendario

In morte di Raymond Tomlinson, l’uomo della @

Flavio Pompetti per Il Messaggero
Se n’è andato in silenzio all’età di 74 anni Raymond Tomlinson, nella tenuta di Lincoln in Massachusetts dove si era ritirato ad allevare pecore nane. A distanza di due giorni dalla sua scomparsa, la famiglia non ha ancora confermato la causa del decesso (si presume un attacco cardiaco), nè ha risposto agli innumerevoli messaggi che chiedono un contatto.
Alle sue spalle invece l’ingegnere elettronico ha lasciato un mondo che a lui deve il privilegio di una nuova forma di comunicazione: 4 miliardi di persone ogni giorno si scambiano 205 miliardi di messaggi su laptop, tablet e cellulari grazie alla curiosità intellettuale e al senso pratico del signor Tomlinson.
WALL OF FAME
Fu lui a inventare la posta elettronica nel lontanissimo 1971, quando i computer erano pachidermi da laboratorio industriale, e il diritto di proprietà intellettuale non era ancora entrato a far parte del loro lessico. Tomlinson ci lavorava per conto della BBN, fornitore di tecnologia elettronica per il Pentagono: «Le macchine comunicavano già ininterrottamente tra di loro; io pensai che sarebbe stato utile usarle per far parlare tra loro anche i tanti tecnici coinvolti nella nascente industria», disse quattro anni fa, quando fu ammesso nell’Olimpo della Internet Wall of Fame, il registro che raccoglie i nomi dei patriarchi della cibernetica.
L’IDEA
Per permettere di identificare le persone che inviavano e ricevevano i messaggi, Tomlison adottò il tasto meno usato della tastiera: la chiocciola ’@’ che nel vocabolario inglese è la preposizione indicativa di un luogo. Un segno desueto del passato che presto sarebbe scomparso, senza la reincarnazione di cui è stata protagonista come simbolo sovrano dell’indirizzo elettronico.
Per più di vent’anni le comunicazioni tramite computer restarono un privilegio quasi esclusivo degli addetti al lavoro che usavano il programma Arpanet, che Tomlinson aveva disegnato e regalato alla rete senza nemmeno sognarsi di brevettarlo. Poi arrivarono i desktop casalinghi, e insieme a loro Aol ed Earthlink a spalancare le porte all’uso da parte dei privati, e ai miliardi di affari. Il resto è storia.
LA RAPIDITÀ
Ma nelle pagine della storia oggi rischia di finirci l’intero uso della email, condannato come tutto quello che si muove nel web ad una precoce obsolescenza. Negli ultimi dieci anni le conversazioni tra gli utenti sono diventate sempre più concitate, succinte e frequenti, sulla scia della miniaturizzazione degli apparecchi con le quali siamo abituati a generarli. I nostri figli non conoscono più le email, che nel nome (posta elettronica) e nel formato della pagina bianca ricordano ancora la carta da lettere alla quale sono imparentate.
La loro socialità cibernetica si è arricchita della pluralità di voci e di materiali visivi offerta da Facebook, e poi della rapidità degli scambi tipica dei discorsi su Twitter. Per comunicare i ragazzi, e non solo loro, ormai utilizzano quasi esclusivamente Whatsapp, Messenger e gli altri innumerevoli servizi di messaggistica gratuita. Una generazione che parla una lingua sempre più sincopata e universale, male si adatta alla formalità con la quale i padri continuano a digitare, seduti alla scrivania: “Egregio Signore, Gentile Signora”.
LA SPAZZATURA
Complice della fuga dalle email è poi lo spam, la spazzatura che ingorga le caselle di posta elettronica fino a soffocarla. Mentre i sistemi di comunicazione più moderni seguono lo schema del “peer to peer": il collegamento tra due soggetti che hanno dichiarato la reciproca approvazione, la email resta aperta proprio come la cassetta della posta casalinga a qualunque messaggio pubblicitario, ad ogni proposta di commercio truffaldino, e ad ogni richiesta anonima del pagamento di un riscatto dopo aver infiltrato il dispositivo tramite il quale comunichiamo.
Il 90% dei 205 miliardi di email quotidiane è ormai fatto di questi messaggi inquinanti, spesso potenzialmente pericolosi, e per fortuna spesso facilmente deviabili nei bidoni della spazzatura che tutti ormai abbiamo imparato ad usare, anche quando ci tocca aprirli per andare a ripescare del contenuto erroneamente scartato.

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Giuseppe Pollicelli per Libero
Una scena del film «C’è posta per te» (1998) con Meg Ryan intenta a spedire una e-mail a Tom Hanks. Sotto, il programmatore americano Ray Tomlinson, morto ieri a 74 anni GIUSEPPE POLLICELLI nnnIl tempo stringe e, come sempre, mi attanaglia la paura di non riuscire a rispettare le consegne per l’invio dell’articolo che mi è stato assegnato. La notizia, in questo caso, è la morte per infarto, a 74 anni, di Ray Tomlinson. Un nome e un cognome sconosciuti ai più, ma appartenenti a una persona che ha radicalmente cambiato la vita di miliardi di individui, compresa la mia. Tomlinson, che era nato nel 1941 ad Amsterdam, piccolo centro dello Stato di New York, è infatti l’inventore delle e-mail, i messaggi che inviamo (e riceviamo, solitamente in quantità molto superiori al desiderato) attraverso la cosiddetta posta elettronica. Non solo: Tomlinson è anche colui che ha avuto l’intuizione di tenere assieme il nome del servizio di posta (i vari Hotmail, Gmail, Yahoo ecc.) e quello personale dell’utente per mezzo del logogramma @, il simbolo che noi italiani chiamavamo «a commerciale» e che poi, più confidenzialmente, abbiamo ribattezzato «chiocciola».
Prima che il web diventasse ciò che è oggi, uno strumento irrinunciabile in ogni ambito, solo pochi iniziati erano al corrente di quali fossero gli impieghi della chiocciola. Personalmente la ricordo, inesorabilmente inutilizzata, fra i pulsanti della macchina per scrivere. Qualcuno mi aveva accennato che la si adopera in contabilità, ma dato che non appartengo agli iniziati di cui sopra non garantisco sull’attendibilità dell’informazione.
Intanto, i minuti corrono e in redazione aspettano il mio pezzo, dunque meglio non divagare. Riguardo alla chiocciola, però, almeno un’altra cosa è interessante riferirla, ossia che tale segno, insospettabilmente, esiste già dal VI secolo d. C.: richiamando la forma stilizzata di un’anfora, i mercanti veneziani lo usavano come misura di peso e di capacità. L’ipotesi più accreditata, tuttavia, è che la sua origine risieda nella fusione delle lettere «a» e «d», le quali compongono la preposizione latina «ad», vale a dire «verso». Ma quando Ray Tomlinson, con trovata geniale, scelse proprio quel simbolo e non altri, lo fece per tutt’altra ragione: in inglese la nostra chiocciola si legge «at», preposizione che si riferisce a un luogo, e pertanto idonea a richiamare l’idea dello spostamento da un posto a un altro, per quanto virtuale.
E adesso torniamo pure a Tomlinson. Di lui si sa che è stato insignito di numerosi riconoscimenti, e i suoi colleghi programmatori lo ricordano come un uomo umile e modesto. Il quale, per di più, forse per una forma di snobismo, si serviva con gran parsimonia di quelle e-mail che proprio lui aveva inventato nel lontano 1971, dunque molto prima che diventassero un fenomeno di massa. L’ascesa irresistibile della chiocciola, in effetti, coincide con il diffondersi dei messaggi di posta elettronica. Per esempio il film C’è posta per te, con Tom Hanks e Meg Ryan, in cui i protagonisti si innamorano scrivendosi mail, è circolato in Italia anche con il titolo C’è post@ per te, e da allora sono già passati quasi due decenni visto che era il 1998. Stesso anno di Viol@, dimenticabile pellicola diretta da Donatella Maiorca in cui Stefania Rocca si dà al sesso virtuale. Da quel momento in poi, fatalmente, i nomi con una chiocciola al proprio interno si sono moltiplicati, specie sulle insegne dei negozi (con una particolare frequenza, è ovvio, tra quelli di informatica).
Ma la domanda cruciale da porsi su Tomlinson è questa: la sua straordinaria invenzione ha apportato più benefici o più disagi alle nostre vite? Da un lato si sarebbe tentati di sostenere che la qualità delle nostre giornate sia molto peggiorata, a causa delle mail, soprattutto da quando le riceviamo sugli smartphone. Sì, è questo che mi verrebbe da dire osservando tutte quelle che mi sono giunte durante la stesura del presente articolo e che - anche solo registrandone mentalmente l’arrivo, senza aprirle - hanno minato la mia concentrazione e ulteriormente diminuito il già poco tempo a mia disposizione. D’altra parte, però, è impossibile non essere devotamente grati a Ray per la quantità di problemi che, grazie alla posta elettronica, ci ha permesso di risolvere. I ritardatari, soprattutto, non gli saranno mai abbastanza riconoscenti. Quindi quello che davvero penso, mentre schiaccio il tasto che in un secondo porterà da Roma a Milano questo mio articolo, permettendomi ancora una volta di salvarmi per il rotto della cuffia, è che il saldo sia decisamente positivo. E che a Ray Tomlinson dobbiamo rivolgere tutti un gigantesco grazie. Clic.

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Virginia Della Sala per il Fatto Quotidiano

Non lo ricordava: cosa Ray Tomlinson, l’inventore della chiocciola(@)(o meglio l’uomo che scelse di usarla per gli indirizzi nel 1971 chissà se ignaro o consapevole della sua origine veneziana- mercantile), avesse scritto nel primo testo inviato tramite il sistema di messaggistica online che aveva inventato quando lavorava sul progetto Arpanet, l’antenato di Internet, è e resterà un mistero. Qualcosa di “dimenticabile”, aveva scritto in un suo blog. E quindi, ovviamente, di “dimenticato”.
Ieri è morto, all’età di 74 anni, per un attacco cardiaco, e ci si è ricordati improvvisamente che dietro ogni aspetto tecnologico si nasconde un essere umano che lo ha ideato. E che continua a ideare influenzando mercati e tendenze.
Si pensi alle mail: il volume totale, dal 2010 al 2014, si è ridotto del 10 per cento. Il rapporto tra le nuove generazioni e le mail, ad esempio, sarebbe quello che oggi la maggior parte delle persone ha con il fax. Per monitorare davvero quale sia l’andamento del volume di missive virtuali nell’arco dei decenni, si può usare lo strumento Emailstatcenter.it che accumula i punti chiave di studi e dossier sui numeri delle mail negli ultimi dieci anni. Nel 2008, ad esempio, uno studio americano già sottolineava come il 65 per cento dei giovani d’età compresa tra i 18 e i 34 anni si sentisse più a suo agio utilizzando sistemi di messaggistica istantanea. La definizione, al tempo, era quella di “emerging comunications”, sistemi di comunicazione emergenti che negli anni si sono evoluti fino a diventare gli attuali Snapchat, Whatsapp e Telegram. E le mail? Secondo lo studio, nel giro di cinque anni, questa categoria le avrebbe usate soprattutto per comunicare su temi di business e lavorativi.
Niente più romanticismo, come nel film C’è posta per te, con Tom Hanks e Meg Ryan: nel corso degli anni il volume delle mail è sì cresciuto ma, come previsto, soprattutto per i contenuti di marketing e le comunicazioni ufficiali. Il 56% delle imprese, nel 2013, dichiarava di aver implementato ilproprio sistema di comunicazione e marketing via mail. Il 60 per cento aveva invece scelto di potenziare i Social Network. E così, si arriva ad oggi e all’andamento globale dei dati sulle mail degli ultimi 18 mesi, raccolti dall’azienda Cisco nel suo senderbase che monitora il traffico di oltre 100mila internet service provider: dal 2014 ad oggi, ad esempio, il volume di mail circolate è quasi raddoppiato. A settembre 2014 erano pari a circa 306 miliardi (spam incluse), a febbraio 2015 se ne contano 476 miliardi. Togliendo lo spam, il volume che resta è di circa cento miliardi. Eppure, non si può dire sia esattamente un trend in crescita. A giugno 2015, ad esempio, il volume delle mail complessivo ha toccato i 123 miliardi. Variabile e volubile: di certo, il fatto che Whatsapp ha ormai quasi raggiunto il traguardo del miliardo di utenti, seguito da Facebook: video, foto, registrazioni vocali ormai viaggiano così. Immediati, veloci, “personali”. La mail è un po’ il luogo della formalità, ma non è detto stia morendo, non ancora almeno.