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 2016  marzo 08 Martedì calendario

Il futuro dei trapianti è negli organi stampati in 3D

L’obiettivo finale è quello di azzerare le liste di attesa per i trapianti: fegato, reni, cuore potrebbero essere pronti in pochi giorni, realizzati con cellule del paziente grazie a una stampante 3D. Fantascienza? Nel giro di qualche decennio potrebbe essere realtà. Per ora il bioprinting, l’idea di stampare con materiali a base di cellule, sta muovendo i primi passi, ma sia gli analisti di mercato sia gli esperti di tecnologia scommettono sulla sua rapida ascesa. Ne sono prova gli annunci che rimbalzano da un laboratorio all’altro. Da Mosca arriva la notizia di una tiroide stampata in 3D: messa a punto da Vladimir Mironov, direttore scientifico di 3D Bioprinting Solutions, è stata prima provata per diversi mesi sui topi e i dati hanno dimostrato che non viene rigettata dagli animali e che funziona, e Mironov ha annunciato di volerne produrre una a base di cellule umane, per poi passare a realizzare anche un rene. Decisamente più avanzata la ricerca di Organovo, l’azienda biotech americana che per prima ha investito nel bioprinting: il suo obiettivo è quello di stampare un fegato. «Per adesso sono riusciti a produrre modelli in vitro di fegato per fare screening di sicurezza di composti chimici o farmaci. Il loro lavoro ha dimostrato che questi modelli in 3D danno risposte molto più accurate e simili a quelle del corpo umano di quanto non facciano i classici modelli di coltura bi-dimensionali o i modelli animali», spiega Lorenzo Moroni, dell’Università di Maastricht, esperto di biofabrication che collabora con uno dei più importanti centri mondiali di manifattura additiva in medicina rigenerativa, il Center for 3D Bioprinting di Utrecht. La realizzazione di piccoli organi per poter testare le medicine è uno dei banchi di prova del bioprinting, ma il miraggio di tutti è la fabbricazione di interi organi da poter trapiantare sui pazienti. «Penso che per vederli dovremo aspettare almeno 20 anni. Ma la strada è tracciata», sottolinea Moroni. E alla Wake Forest University, nella Carolina del nord, hanno ottenuto un primo modello di tessuto cardiaco con la capacità di pulsare autonomamente. Ora stanno lavorando alla stampa di un intero rene. A Maastricht, dove lavora Moroni, invece, hanno messo a punto un metodo per stampare isole di Langerhans, le cellule del pancreas essenziali per la produzione e la regolazione di insulina. «Dobbiamo trovare il modo per far rigenerare il sistema vascolare e nervoso associati a diversi tipi di tessuti del nostro corpo», spiega il ricercatore. La complessità degli organi, infatti, non potrà mai essere riprodotta a meno di non imparare a stampare anche i vasi sanguigni e le innervazioni. Un team di Harvard ha proposto una soluzione, almeno per quanto riguarda la vascolarizzazione: usando una stampante e un inchiostro particolare ha creato un pezzetto di tessuto, a partire da cellule della pelle, che contiene delle strutture simili ai vasi sanguigni. La tecnica, descritta su Advanced Materials, è stata considerata una rivoluzione in questo campo. Ma come funziona la biostampa in 3D? Cosa si intende quando si parla di inchiostro? «Il bioprinting è del tutto analogo agli altri processi di stampa tridimensionale – va avanti Moroni – al posto del materiale plastico o ceramico ce n’è però uno che contiene un componente biologico, di solito cellule. Nel caso di un organo per trapianto, potrebbero essere dello stesso paziente, per minimizzare i problemi di rigetto». Gli ostacoli sul cammino degli organi on demand sono comunque ancora molti. Maggiori soddisfazioni arrivano invece da strutture a base di cartilagine, come le orecchie, il naso, o da quelle ossee come la mandibola, i denti e perfino la scatola cranica. È di pochi mesi fa la notizia di un orecchio stampato da un team della Princeton University e della Johns Hopkins: è composto da cellule umane, idrogel e nanoparticelle di argento che formano l’antenna che permette all’orec- chio di captare le onde sonore. Naso e orecchie sono stati prodotti al Morriston Hospital in Galles mentre al MIT stanno lavorando su un idrogel elastico specifico per la stampa di cartilagini. Denti e mandibole in 3D sono già una realtà: impiantati in pochissimi pazienti, ma sembra che i risultati siano duraturi. In questo caso si usano materiali biocompatibili a base di titanio. Mentre è di una sostanza plastica la scatola cranica stampata per una ragazza olandese affetta da una patologia grave che causa l’ispessimento progressivo delle ossa del cranio. La sostituzione è avvenuta ormai 18 mesi fa e la paziente sta bene.