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 2016  marzo 06 Domenica calendario

Tutti in modi di vedere la Venere di Botticelli

La sua unica, vera, grande nemica resta in fondo la Gioconda di Leonardo da Vinci. Perché nel famigerato immaginario collettivo nessuno, se non appunto la Gioconda, può permettersi il lusso di competere con la Venere, la grande tempera su tela, 172 x 278 centimetri, realizzata da Sandro Botticelli per la Villa Medicea di Castello, alle porte di Firenze, tra il 1482 e il 1485. Immagine ideale e universale della bellezza al femminile (sul fronte maschile il canone estetico più noto sembra essere quello dettato dal David di Michelangelo) la figura che avanza leggera fluttuando su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde non è però solo la protagonista di un dipinto oggi conservato agli Uffizi ma una Musa ispiratrice. A cui hanno guardato (a volte con ironia, a volte con reverenza) e si sono ispirati personaggi, più o meno conosciuti, tra loro lontanissimi: Edward Burne-Jones e René Magritte, Bill Viola e Dolce & Gabbana, Dante Gabriel Rossetti e Tamara de Lempicka, William Morris e Reineke Dijkstra, Gustave Moreau e Robert Rauschenberg, i preraffaelliti e Maurice Denis.
La mostra appena aperta al Victoria and Albert di Londra dimostra però come tutta questa attualità e questa contemporaneità non siano solo merito della Venere, che (peraltro) qualcuno ha accusato di esibire caviglie forti e seni piccoli, almeno nei tempi del silicone e del botox. Piuttosto del suo pittore, Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi (detto il Botticelli, 1445-1510) capace al tempo stesso di definire, secondo il direttore del V&A Martin Roth «nuovi modelli estetici adatti alla raffinata società del Rinascimento fiorentino, ma anche favole antiche che nascondono significati filosofici e affreschi di argomento religioso degni della Cappella Sistina in Vaticano».
Felicemente (ma anche tormentosamente nonostante la perfezione delle forme e dei corpi) in bilico tra Marsilio Ficino e Lucrezio, tra Poliziano e Boccaccio, tra Filippo Lippi e il Verrocchio, tra Lorenzo de’ Medici e Savonarola. Botticelli Reimagined (ovvero Botticelli reimmaginato) è appunto il titolo dell’esposizione curata da Mark Evans e Stefan Weppelmann con Ana Debenedetti, Ruben Rebmann, Mary McMahon, Gabriel Montua che fino al 3 luglio «si soffermerà sull’influenza che il genio e la modernità di Botticelli hanno esercitato, non solo sull’arte ma anche sul design, la moda e la creatività in genere, fino ai nostri giorni».
Tanto per ribadire le loro intenzioni i curatori hanno messo in copertina del catalogo la Venere (dai colori acidi che accentuano quella sua aria estraniata) di Andy Warhol e, a seguire, le interpretazioni che delle opere di Botticelli hanno dato LaChapelle, Walter Crane, Uma Thurman nelle Avventure del barone di Münchausen di Terry Gilliam e Ursula Andress in 007 Licenza di uccidere.
Perché la grande mostra ora dedicata a Botticelli in Gran Bretagna, dove manca dal 1930, mescola senza paura l’alto e il basso, il concettuale e il trash, il classico e il trasgressivo. Tanto da trovare spazio anche per l’istantanea dell’artista spagnolo Adrián Pino Olivera che nel marzo 2014 si era denudato davanti alla Nascita di Venere, lanciando petali di rosa e gridando: «Questa è poesia, questa è poesia». Nessun effetto della famigerata Sindrome di Stendhal, però, piuttosto una molto probabile manovra di autopromozione, visto che l’unica preoccupazione manifestata da Pino Olivera mentre veniva portato via dalle forze dell’ordine e adeguatamente rivestito era che ci fossero state telecamere a filmarlo: ennesima dimostrazione della potenza mediatica di Botticelli (proprio davanti alla Venere, tra l’altro, viene colta da malore la protagonista della Sindrome di Stendhal di Dario Argento). Nella stessa stanza del museo fiorentino che accoglie anche la Primavera e la magnifica Calunnia di Apelle (sempre di Botticelli) i visitatori non sembrano, tra l’altro, avere abbastanza attenzione per i capolavori di altri maestri. Esattamente come accade al Louvre nella sala della Gioconda.
Quasi una scelta obbligata, quella del mix «alto-basso», quando si parla di Botticelli: già nel 2004, in occasione della mostra Botticelli e Filippino, l’inquietudine e la grazia nella pittura fiorentina del Quattrocento a Palazzo Strozzi, in una stanza (e nel bookshop) si potevano ritrovare oltre 150 oggetti «realizzati da 20 artigiani di 16 diverse categorie»: riproduzioni delle Storie di Nastagio degli Onesti, tessuti ispirati alle decorazioni della Flora, orecchini in argento e oro, spille e scatole in cuoio, libri e cristalli, a prezzi che (all’epoca) variavano dai 7 ai 7.200 euro per la riproduzione della Madonna del Magnificat. Mentre oggi, alla Venere (testimonial di Botticelli) sono dedicati puzzle da 4.000 pezzi, calzini, felpe, set di unghie finte, francobolli, papillon, tazze, carte da gioco.
La stessa struttura dell’esposizione ribadisce il compito principale di questo Botticelli Reimagined : dimostrarne tutta l’attualità. Tre le sezioni principali: in sequenza Global, Modern, Contemporary; Rediscovery e (solo alla fine) Botticelli in his own times con una cinquantina di opere originali del maestro, dalla Natività Mistica a Pallade e il Centauro, dal Ritratto di Smeralda Bandinelli a cinque disegni per la Divina Commedia, fino alle variazioni sul tema della Madonna col Bambino che testimoniano la creatività dell’artista e della sua bottega. Proprio il Ritratto di Smeralda Bandinelli, realizzato nel 1475 e che da oltre un secolo fa parte della collezione del museo londinese, rappresenta uno dei pezzi forti dell’esposizione: si pensava che il vecchio proprietario, Dante Gabriel Rossetti, nell’Ottocento avesse modificato l’opera dando quella particolare tinta rossa (così attuale e moderna) ai capelli di Smeralda mentre invece, analizzando gli strati di pittura del quadro, si è scoperto che la scelta del colore era stata di Botticelli.
Un vero viaggio a ritroso nella storia dell’arte. Dove non c’è però soltanto la Venere : Elsa Schiaparelli per i suoi due abiti da sera del 1938 ha scelto di ispirarsi, ad esempio, alla P allade; mentre Cindy Sherman per il suo Untitled #225 (1990) si è voluta ispirare al ritratto di Simonetta Vespucci (nell’ambito del suo progetto History Portrait l’artista statunitense si è più volte rifatta a Botticelli, soprattutto per quello che riguarda il tema della «Vergine che allatta»). «Volevamo dimostrare tutta la contemporaneità di Botticelli e credo che ci siamo riusciti – spiega alla “Lettura” una delle curatrici della mostra, Ana Debenedetti —: provi solo a pensare ai diversi media che hanno utilizzato le opere di Botticelli come fonte di ispirazione, dalla pittura alla performance, dal film alla moda. Cosa lo rende così moderno? Il fatto che la sua bellezza sia in fondo solo formale e che nasconda sempre una certa ambiguità di fondo, qualcosa che non si riesce a cogliere mai completamente. Per questo oggi la Venere è così famosa e conosciuta, molto più della Primavera che invece era molto amata e apprezzata nell’Ottocento: perché la Venere è profondamente ambigua».
Anche per questo la Venere resta la figura più presente nella mostra: Yin Xin la raffigura in primo piano con i tratti tipici di una ragazza asiatica; Tomoko Nagao la trasforma in una sorta di figurina da videogame (collocandola in mezzo a una montagna di «Baci Perugina»); Orlan la rende protagonista di una delle sue inquietanti performance chirurgiche. Tutta colpa della sua ambigua modernità, proprio come la sua grande avversaria, l’unica che può davvero reggere il confronto: la Gioconda.