La Lettura, 6 marzo 2016
Chi avrebbe mai detto che il freddo inverno potesse essere sensuale ed erotico?
Quando Albert Camus scriveva «nel bel mezzo dell’inverno ho scoperto in me un’invincibile estate», esprimeva con un’immagine sontuosa uno stato d’animo molto personale e un modo condiviso di confrontarsi metaforicamente con le stagioni. Che cos’è l’inverno, nella frase di Camus, se non un momento di gelida aridità spirituale al quale una parte di sé rifiuta di arrendersi? Adam Gopnik, cresciuto non in Algeria come Camus ma nel gelido Canada, rovescia questo stereotipo nel libro L’invenzione dell’inverno (Guanda), un libro nato da una serie di conferenze che brillano per erudizione, savoir faire letterario e intuizioni intelligenti, con qualche sprizzata occasionale di gigioneria.
Per Gopnik l’inverno è un’invenzione della modernità e il modo in cui ci rapportiamo al buio e al freddo ha molto a che vedere con la nostra accettazione di un mondo senza illusioni. Ma è anche un veicolo culturale che ci parla di politica, nazionalismo ed erotismo; e una forza purificatrice che attesta la presenza del misterioso e del sublime.
Organizzato come una serie di finestre – osservare l’inverno da una casa ben riscaldata sarebbe il punto di partenza della modernità – il libro di Gopnik ci parla dell’inverno romantico dell’arte e la musica germanica; dell’inverno estremo delle esplorazioni polari; del Natale come inverno della rigenerazione spirituale; dell’inverno degli sport; e infine dell’inverno del ricordo e dell’infanzia. «Quando sento che è prevista una tempesta di neve, il cuore mi balza in gola, anche nella perpetua grisaille di Parigi… i cieli grigi e le luci di dicembre sono la mia idea di gioia segreta, e se esistesse un paradiso, me lo aspetterei con un cielo basso grigio-violaceo, e mentre cominciano a cadere i primi fiocchi, ci sarebbero luci bianche su tutti gli alberi e sarebbe sempre il 19 dicembre, il giorno più bello dell’anno: scuole chiuse, negozi aperti fino a tardi, solo una settimana a Natale».
Fino alla metà del Settecento l’inverno è stato invece una bestia da temere. Poi il carbone ha cominciato a essere utilizzato per riscaldare, il prezzo della legna da ardere è sceso, e la nostra percezione della stagione fredda è cambiata al punto da permettere a neve e ghiacci di entrare nell’immaginario romantico di pittura, musica e letteratura. I paesaggi ghiacciati di Caspar David Friedrich hanno contribuito a formare un’identità nazionale basata sul clima rigido della Germania, sostiene Gopnik. E questa finalità nazionalistica dell’inverno la ritroviamo anche in Russia a partire dalla disfatta dell’armata napoleonica. Non solo: «Nel vero Nord, l’inverno diventa la stagione della velocità, quando puoi mettere la tua amata su una slitta e trascinarla verso un rendez-vous erotico. L’erotismo dell’inverno è un tema peculiare russo: avvolto in pellicce, ammantato di nevi e segreti, percorre tutta la letteratura dell’Ottocento».
Questo inverno come occasione di sensualità Gopnik lo trova anche negli Stati Uniti verso la metà dell’Ottocento, quando nelle città si comincia a volteggiare abbracciati sulle piste da pattinaggio. Poco dopo, in Francia, un inverno ammansito e reso elegante «è il primo segnale di un nuovo sentimento, che fiorirà in pieno nella pittura degli impressionisti… quando per la prima volta gli effets de neige, gli effetti di neve, compaiono nei dipinti di Sisley, Pissarro e, soprattutto, Monet».
Mordecai Richler, geniale scrittore canadese, sosteneva che soltanto gli ebrei e gli inuit hanno la brillantezza e lo spirito per sopravvivere e prosperare nel Nord estremo. Ebreo, ancorché ateo e innamorato del Natale, Adam Gopnik è certamente uno di questi.