il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2016
Una vita a 120 watt. Intervista ad Antonio Pascale
Centoventi watt, una lampadina. A tanto ammonta la nostra energia giornaliera, con cui dobbiamo fare tutto: andare a lavorare, trovare parcheggio, rispondere agli sms, amare, persino sognare. In un caldo luglio romano, lo scrittore partenopeo Antonio Pascale, ambienta il suo nuovo romanzo, Le aggravanti sentimentali (Einaudi, pp.192 euro 18.50) riportando in pagina gli stessi personaggi, la stessa felice ironia surreale del precedente Le attenuanti sentimentali. Pascale rifugge dalle trame e ricorre ai dialoghi, oscillando fra la chat di Whatsapp e le teorie di Platone, fra le dinamiche del corteggio alla casertana e l’osservazione delle stelle, guidando i lettori in una serie di riflessioni circa il senso delle nostre scelte, soprattutto quelle amorose. Siamo liberi di agire e inseguire la felicità o siamo in balia del caso, sotto la volta stellata?
Quattro amici e un caldo luglio romano. Il momento perfetto per fare un bilancio esistenziale?
Siamo padroni dei nostri sentimenti? Possiamo razionalmente controllarli e fare quelle buone scelte che ci garantiscono la felicità o al contrario i nostri sentimenti ci dominano, a nostra insaputa? Nel corso di sette giorni questi quattro personaggi assai diversi e quasi traumatizzati dalla crisi economica e culturale, saranno trascinati in eventi che non avevano previsto: come reagiranno, sceglieranno per il meglio?
Scrive che “se Roberto Baggio tirasse altre 999 volte quel rigore a Pasadena, lo sbaglierebbe ancora”. Perché?
Secondo Amedeo Balbi, un amico astrofisico e determinista convinto, siamo tutti soggetti a leggi fisiche contingenti.
Ovvero?
Se riavvolgessimo il nastro degli eventi otterremo lo stesso risultato. Sì, Baggio sbaglierebbe ancora il rigore. Il nostro ventaglio di scelte non dipende interamente da noi, spesso è il fato che decide, cioè il caso.
L’economista Richard Easterlin profetizza un picco di felicità a 51 anni. È la teorizzazione della crisi di mezza età, la felicità nell’era liquida?
Non sono convinto della società liquida e cose così, mi sembrano termini alla moda. La felicità, come l’amore, del resto è un concetto giovane. I miei nonni, i miei bisnonni mica si ponevano il problema della felicità: nascevi contadino facevi il contadino, e su questa terra non c’era la felicità, magari nell’aldilà. E in questo modo i ricchi hanno controllato le masse. Ora le possibilità sono aumentate anche in amore, ed è una fortuna. Ma siamo capaci di controllare le nostre scelte, sentimentali e non? Abbiamo abbastanza energia per essere liberi? Ce ne toccano 120 watt al giorno, una lampadina.
Basteranno 120 watt?
Non lo so, ma questa è la materia di cui sono fatti i nostri sogni. Nella vita abbiamo un’unica possibilità, mettere insieme l’energia per far sì che gli egoisti non vincano sugli altruisti.
Sms e WhatsApp imperversano e nei social trionfa ogni giorno la vera auto-fiction. L’egocentrismo digitale è la malattia del momento?
C’è stato un tempo in cui le masse non potevano raccontare i propri sentimenti e le proprie storie. C’erano gli scrittori addetti all’operazione. Ora è diverso, ognuno con un social fa auto-fiction e si racconta, minuto per minuto.
È un bene o un male?
Sarei per accettare la sfida, se di ombelico deve trattarsi almeno che sia un serio punto di gravità che contenga molte orbite, molti pianeti sconosciuti.
Ma possiamo dominare il caos per essere felici?
Non del tutto. Nelle tragedie greche le profezie si avverano, il caso fa la sua parte e all’eroe tragico non resta altro da fare che accettare il suo destino. Nemmeno gli dei hanno il potere di opporsi. Ma si possono, si devono prendere delle precauzioni, alcune culturali.
Ad esempio?
Sin dalle elementari dovremmo studiare la logica perché ci prepara a risolvere i problemi, a capire i nostri sbagli, a porre limiti alle contingenze.
Dedica il libro alla nascitura Susanna. A tempo debito, le consiglierà di lasciare l’Italia?
Dipende dalla facoltà universitaria che sceglierà. Le farei imparare oltre all’inglese, il cinese, l’arabo e alcuni idiomi africani. Il futuro comunque non è nell’Occidente.
“Perché non ci suicidiamo?” riflette Albert Camus. Lei come risponde?
Perché siamo egoisti e vogliamo vivere e per vivere abbiamo bisogno degli altri, la fiducia che continuiamo a nutrire negli altri è la nostra salvezza.
Ma se non siamo davvero liberi, che possiamo fare?
Mettere delle regole, poche e buone e condivise, non c’è creazione senza regole.