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 2016  marzo 06 Domenica calendario

Nella fabbrica di ballerini a Mosca, lì dove anche gli italiani sognano il Bolshoj

Una mano alla sbarra, i piedi rigorosamente in “quinta posizione”, e lo sguardo al di là delle vetrate puntato sulle betulle del cortile o, a scelta, sui tetti dei grattacieli staliniani del lungofiume Frunzeskaya nel cuore della vecchia Mosca. Pochi secondi di concentrazione e poi si parte con esercizi lunghi, ossessivi, eseguiti al ritmo di musiche che ai profani evocano Ciajkovskij o Chopin ma che in realtà sono pezzi scritti apposta per ogni singolo passo con il preciso intendimento di fartelo capire, memorizzare e ripetere alla perfezione. Perché qui, alla Accademia statale di coreografia, anche le giovanissime pianiste che assistono tra mille reverenze i docenti, arrossendo a ogni richiamo e assecondando premurosamente ogni richiesta, hanno un curriculum superqualificato di composizione classica. Capita quando la parola “eccellenza” è la più ostentata in quello che si considera una perla di fascino e competenza indiscussa in tutta la Russia: la scuola di ballo più prestigiosa del mondo che fornisce giovani talenti al Bolshoj e ad altri non meno mitici come il Mariinskij di San Pietroburgo e vari templi della danza sparsi in tutto il Pianeta che ogni anno convergono in queste aule per provare ad accaparrarsi future etoile.
Un prestigio che supera ogni tensione internazionale e che non viene scalfito dalla attuale situazione da Nuova Guerra Fredda. Lo vedi dagli elenchi dei 721 allievi, dagli otto ai diciotto anni, che si dividono sale, corridoi e dormitori di questo edificio disegnato da un architetto molto ispirato nel 1969 per confermare la supremazia del balletto sovietico. Alla scuola sono iscritti 28 giapponesi, 17 statunitensi, 8 italiani e un’altra cinquantina di stranieri, che arrivano da Australia, Asia, America Latina e che pagano rette altissime pur di partecipare alla stessa avventura garantita senza alcuna spesa ai loro coetanei russi. Certo, bisogna avere una certa disponibilità di denaro per sborsare una cifra annuale che si aggira sui ventimila euro, comprendendo vitto alloggio e una scuola superiore da frequentare negli intervalli delle lezioni che contano davvero.
Ma non basta. La selezione è durissima come ai tempi della zarina Caterina II che questa scuola fondò nel 1773. Metodi resi anche più cattivi dai criteri sovietici quando l’eccellenza veniva considerata un valore patriottico. I test di ammissione sono spietati. Severissimi ex ballerini dal passato glorioso prendono in considerazione ogni aspetto. Anche quello fisico. Braccia, gambe e collo devono essere più lunghi della media eppure comunque ben proporzionati. La testa non deve essere troppo grande. I riflessi scattanti, le capacità di apprendimento notevoli. Rispetto e ubbidienza verso i superiori, senza limiti.
Il risultato è che quando sei qui, lontanissimo da casa, con sveglia alle otto, scuola ed esercizi fino alle otto di sera, dieta rigorosa e senza eccezioni, e “coprifuoco totale” alle 22, sei felice ugualmente: «È già stato straordinario arrivare fin qui». Luca Calcante, 15 anni, torinese, mostra timidamente l’apparecchio dei denti al suo maestro che gli intima “Ulybajemsja” (sorriso) e si appoggia alla sbarra dopo una faticosa serie di “Arabesque”: «So che sto lavorando nel posto migliore e che sto decidendo il mio futuro». Luca ha vinto una specie di borsa di studio dopo una preselezione in Italia. È arrivato a Mosca da solo a undici anni. Un mese di test e full immersion di lingua russa fino l’ammissione. «Separarsi dai genitori è stato duro. Ma vivo benissimo, circondato da gente che si occupa di me». Si vanta di aver ottenuto, solo per meriti, uno sconto sulla retta: «Tredicimila euro il primo anno e 18mila per tutti gli altri a venire». Spiega di essere di famiglia non ricchissima: «Padre medico, madre insegnante». Prova a razionalizzare i sacrifici economici: «In fondo è un investimento a lungo termine, perché...». E fa capire che, nel peggiore dei casi, è destinato ad avere un contratto su una piazza di tutto rispetto. Lui però sogna il palcoscenico del Bolshoj come tutti i suoi compagni. C’è rivalità? «Certo che c’è, ma l’amicizia di fondo ammorbidisce tutto». Più cauta sul futuro Camilla Mazzi, anche lei torinese, 17 anni. «Forse non resterò in Russia ma intanto mi piace vivere in un posto dove la meritocrazia è fondamentale. Tutte le altre scuole hanno una tendenza sempre maggiore a trasformarti in un’atleta, una ginnasta. Qui impari quel qualcosa in più che dà classe e armonia ad ogni movimento».
E anche il Paese in genere non sembra poi così male: «Quando torno a casa mi chiedono come faccia a vivere qui. E io dico che ho trovato un rispetto per le persone, per gli anziani, che in Italia si è perso. Avete notato come ci salutiamo tutti continuamente nei corridoi? È obbligatorio ma insegna molto per i rapporti umani». Non la scalfisce nemmeno l’eco degli scandali, politici, sessuali, criminali, che hanno offuscato l’immagine del balletto russo e perfino del Bolshoj: «Sono cose che forse riguardano i professionisti. Io intanto sono nel posto più adatto per diventare la più brava possibile. E questo, per il momento mi basta».