Libero, 7 marzo 2016
Qui è svelato il segreto dell’amaro Lucano
Presidente Vena, qual è la ricetta dell’Amaro Lucano?
«È segreta, segretissima e conservata gelosamente. La inventò mio nonno nel 1894 e la fece conoscere ai suoi figli solo quando era già molto avanti con gli anni. E così ha fatto mio padre con me».
Mi perdoni se insisto, ma mi dica almeno qualche ingrediente…
«Trenta tra erbe e olii essenziali. Non posso dirle altro».
Le assicuro che non lavoro per i servizi segreti e non ho alcuna intenzione di copiarla…
«Hahahaha. Assenzio, salvia, achillea, cardo, ruta, aloe, cannella e mandorle amare, basta così. Le ho detto anche troppo».
Provo a mettere tutto nel frullatore… Ma suo nonno era un conoscitore di erbe?
«Mio nonno Pasquale era un pasticcere, ma la sua grande passione erano i liquori. Ogni giorno passava ore nel retrobottega del biscottificio di Pisticci, vicino a Matera, a sperimentare le più originali e fantasiose miscele di erbe. Ci metteva così tanto amore cercando il giusto equilibrio per rievocare i sapori della sua terra».
Ma è vero che il Lucano è stato il digestivo preferito del re?
«Vero, tanto che il re in persona diede il titolo di cavaliere al nonno nominandolo fornitore ufficiale di Casa Savoia. Mio nonno era un giovane molto intraprendente, decise di non seguire i fratelli quando si imbarcarono per l’America. Fu la sua fortuna. Andò invece a Napoli per inseguire la vocazione dolciaria. Ma Pisticci era un richiamo troppo forte per lui, tornò per aprire un biscottificio e dedicarsi ai liquori. Ma poi sono arrivati gli anni difficili, la guerra ci ha messo in ginocchio».
Cioè?
«Purtroppo ci fu una breve pausa nella produzione anche perché le erbe non si trovavano così facilmente, ma il nonno non si perse d’animo e con l’aiuto e l’entusiasmo dei due figli, Giuseppe e Leonardo, improvvisarono una produzione artigianale nel sottoscala della casa di Pisticci dove abitava la famiglia Vena».
Quando avvenne il grande salto, da laboratorio a realtà industriale?
«Nel 1960 la produzione arrivava già a 3.000 bottiglie l’anno, con stampato in oro sull’etichetta il nostro motto “Lavoro e Onestà”. Quattro anni dopo, l’azienda si trasferì da Pisticci centro a Pisticci Scalo e i litri di amaro diventarono 117 mila. Vede, il nostro non era solo un digestivo per dopo i pasti, erano gli anni in cui si usava prendere al bar un bicchierino di liquore anche nelle prime ore del mattino, senza sembrare degli alcolizzati, soprattutto d’inverno per scaldarsi».
Ma lei come lo beve il suo Lucano?
«Con una fettina di limone, come faceva mio nonno. Gli americani invece con il nostro amaro ci preparano i cocktail, aggiungono soda, vermouth rosso, mezza fetta di arancia e ghiaccio, lo chiamano “Americano americano”».
Siete sbarcati anche negli Usa...
«Siamo arrivati prima in Canada, terra di emigranti, con i connazionali che viaggiavano con la nostra bottiglia in valigia, diventata poi il regalo da portare a parenti e amici. Siamo amati anche in Brasile e Australia, ma i nostri maggiori fan sono i tedeschi, ne consumano 40 milioni di litri l’anno, il doppio di quello che bevono gli italiani».
E il vostro giro d’affari?
«Guido un’azienda con 50 dipendenti, abbiamo chiuso il 2015 con quasi 24 milioni di fatturato, mi sento fortunato».
Nipote del Cavalier Pasquale Vena, da cui ha preso il nome, tanto per citare lo slogan che vi ha reso famosi, “cosa vuole di più dalla vita”?
«Un amaro Lucano che fatturi 30 milioni. Ci stiamo lavorando, ma con i piedi ben piantati nella nostra terra, siamo diventati ambasciatori della Lucania, teniamo molto alle nostre origini, siamo orgogliosi di essere rimasti tra i pochi marchi in Italia a non aver venduto ai cinesi. In Cina preferiamo esportare».
Avete avuto delle offerte interessanti, o, mi scusi, non sarà mica un segreto?
«Siamo come una bella donna, abbiamo sempre avuto diversi corteggiatori, ma li abbiamo sempre respinti. In questo momento non ci interessano liquidità o soci. La nostra è una famiglia e vorrei rimanesse tale, anche in futuro. Mio padre mi diceva sempre che vendere l’azienda per un imprenditore è la fine. Niente più problemi, ma addio soddisfazioni e gioie».
Nessun tradimento dalla nuova generazione, la quarta se non sbaglio: i giovani a volte hanno voglia di fare altro...
«Per la nostra famiglia, molto unita, l’Amaro Lucano è nel dna. Per me e i miei tre figli è una passione. Mi auguro possa essere così anche per le generazioni a venire. E naturalmente spero che il nostro liquore continui a essere fatto con le stesse erbe fornite dai nostri contadini più fidati».
La terzogenita Vena, la più giovane della dinastia, anche lei è entrata in azienda?
«Sì, da un paio di settimane e si occupa di marketing. Letizia ha appena 25 anni ed è arrivata con una laurea in Economia alla Cattolica, un master in Bocconi e dopo un’esperienza in Mondadori».
Ha provato a fare altro?
«Assolutamente no, tutti i figli sono entrati dalla mangiatoia bassa, come si dice dalle mie parti. Anche gli altri due, Leonardo e Francesco, il primo di 32 anni laureato in Economia, il secondo di 31 in Giurisprudenza, rispettivamente direttore marketing e direttore amministrativo, occupano posti di grande responsabilità. Sono molto aperto e voglio che i miei figli abbiano la possibilità di esprimersi, di credere in se stessi e soprattutto di stare in prima linea, a differenza di mio padre che non mi lasciava ricoprire ruoli importanti, perché voleva mantenere il controllo su tutto. Ma erano altri tempi».
Le vostre campagne pubblicitarie entrano nelle case degli italiani con slogan che non si dimenticano.
«Vogliamo lasciare il segno, per questo ci siamo impegnati molto con l’ultimo spot: “Dal 1894, sappiamo cosa vuoi di più dalla vita”».
Somiglia molto al precedente fortunato... paura di rischiare?
«Abbiamo voluto rendere evidente come la passione del nonno Pasquale si respiri ancora all’interno della famiglia Vena dal 1894. Abbiamo scelto un’ambientazione di fine Ottocento, con inaspettate fughe nel futuro, dove compaiono diversi cliché contemporanei. Anche la scelta della location è in tema: una nobile dimora romana come Villa Aurelia al Gianicolo».
Tutto sul filo dell’ironia...
«Assolutamente, si gioca con il passato e con i luoghi comuni dei nostri giorni. Abbiamo scomodato persino la costumista quattro volte premio Oscar, Milena Canonero, affiancata da un vero e proprio dream team ricco di altrettante esperienze hollywoodiane. Mentre il set design è stato affidato allo scenografo Tonino Zera, abituale collaboratore di Paolo Virzì, Giuseppe Tornatore e Gabriele Muccino».
Costo dell’operazione?
«Abbiamo fatto le cose in grande. Per l’intero piano pubblicitario sono stati spesi 10 milioni».
Avete acquistato da Campari nel 2014 Limoncetta di Sorrento – entrata nel gruppo che comprende già l’amaro, il liquore al caffè, la sambuca, quattro marchi di grappe e due di cioccolatini –, siete cresciuti del 27 per cento nell’ultimo anno, state diventando una realtà pronta a sfidare i colossi. Cos’altro bolle in pentola?
«Un piano industriale che preveda ulteriori rafforzamenti e un tasso di evoluzione da conseguire sia mediante un potenziamento dell’export, sia tramite ulteriori acquisti sul nostro mercato. C’è l’inaugurazione di una filiale negli Usa, mentre l’azienda sta lavorando in Germania, Cina e Canada. Dopo Limoncetta cerchiamo altri marchi con una storia interessante su cui investire. Attualmente abbiamo un paio di dossier aperti e devo dire che sono già in fase avanzata. Il nostro interesse resta quello del settore beverage, ma non necessariamente alcolici. E in aprile contiamo di aprire il primo negozio monomarca a Matera».
In attesa di inventare una nuova ricetta segreta…