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 2016  marzo 07 Lunedì calendario

L’ascesa di Ted Cruz. Anche se non piace a nessuno, è l’unica alternativa a Trump

Dio sia lodato. Sia sempre lodato: da ultimo, per le vittorie di Ted Cruz nelle primarie repubblicane del Kansas e del Maine.
Il senatore del Texas ha pareggiato i conti con Donald Trump sabato sera, due Stati a testa. Nel conteggio dei delegati Cruz tallona Trump a una distanza non insormontabile. Mentre il distacco si fa quasi incolmabile per l’altro inseguitore, Marco Rubio. I sondaggi dicono che quest’ultimo, senatore della Florida, non riuscirà neppure a vincere nel suo Stato. Quel Supermartedì 15 marzo potrebbe essere il Giudizio divino: decisivo per ridurre il numero dei contendenti repubblicani a due, un testa a testa Trump-Cruz.
Se i riferimenti al padreterno vi infastidiscono, preparatevi: così potrebbe parlare il prossimo presidente degli Stati Uniti. I discorsi di Cruz cominciano e finiscono in quel modo.
Se non c’entra il creatore, la stella del senatore texano è in ascesa per un curioso scherzo del destino. Forse gli attacchi dei notabili repubblicani da Mitt Romney a John McCain hanno cominciato a intaccare il seguito di Trump. Ma se il tycoon newyorchese perde consensi, non vanno ai candidati dell’establishment (Rubio e John Kasich). A beneficiarne è quello che fino a poco tempo fa era considerato il più pericoloso, il più estremista, dai suoi compagni di partito. Cruz di questo si fa un vanto: «Sono io il vero pericolo per l’establishment. A Washington i politici di mestiere sono terrorizzati dal mio successo». Non esagera.
Avendolo seguito una settimana fa nel suo Fort Alamo texano, alla Baptist University di Houston dove il pubblico era composto in prevalenza di evangelici, il linguaggio da predicatore di Cruz non poteva stupirmi in quel mondo: «Ho due guide nella vita, la Bibbia e la Costituzione». Ancora più istruttivo è stato il suo discorso alla Conservative Political Action Conference (Cpac), il raduno degli ultrà del movimento conservatore dove Cruz ha stravinto i sondaggi di popolarità. In quell’ambiente i suoi attacchi a Trump sono stati una perfetta sintesi del Cruz-pensiero. Ha accusato il magnate immobiliare di: «flessibilità», «ambiguità sull’aborto», «oscillazioni sull’immigrazione», «valori morali tipicamente newyorchesi».
Mentre Rubio aveva tentato di screditare Trump frugando nei suoi scandali privati (bancarotte, truffe plurime, cause per frode da parte degli studenti della sua pseudo-università, o degli immigrati stranieri sfruttati nei suoi cantieri), Cruz ha una linea di attacco diversa: «Trump non è un vero conservatore, solo io ho le credenziali in regola». Quando scivola sull’insulto personale, è per definire Trump «blasfemo, ignorante delle sacre letture». Lo ridicolizza perché il tycoon ossigenato inciampa quando cita il Deuteronomio. In politica estera, per Cruz non è un problema che Trump teorizzi l’uso della tortura contro i nemici dell’America; il senatore texano semmai vuole accreditarsi come più falco dei falchi, è lui ad avere lanciato l’espressione «farò brillare la sabbia del deserto a furia di bombe, per estirpare l’Is». Non trova deplorevole che Trump insulti i messicani e prometta la costruzione del Grande Muro anti-immigrati al confine Sud degli Stati Uniti. No, la sua critica è un’altra: «Quando un gruppo di repubblicani scellerati e traditori cercò l’accordo con Barack Obama sulla riforma dell’immigrazione, io sabotai quell’intesa e feci fallire ogni compromesso. Dov’era Trump? Lui staccava assegni a favore dei repubblicani moderati, fautori dell’accordo».
Su Planned Parenthood, agenzia che assiste le donne per il controllo delle nascite: «Io la metterò fuorilegge, Trump è ambiguo». I valori etici “newyorchesi”? È la parola in codice con cui il profondo Sud evangelico allude al marcio nella Grande Mela: multietnica, piena di gay, tollerante e lassista. Questo è il senatore Cruz, che nel partito ha tradito tutti, pur di distinguersi come il più puro, il più religioso, il più fedele alla lobby delle armi. Dalla padella nella brace.