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 2016  marzo 07 Lunedì calendario

1500 metri femminili, il podio più sporco della storia. A Londra 2012 è stato sconvolto l’ordine d’arrivo causa doping, la sesta arrivata potrebbe mettere al collo l’argento

Forse è ora di archiviare definitivamente lo slogan «questa sarà l’Olimpiade più controllata mai vista». Succede a ogni edizione e si può anche credere alle intenzioni, ma Londra ha aumentato gli esami, ha elevato la qualità dei test, ha pubblicizzato la lotta al doping e si ritrova a dover buttare nella spazzatura un’intera gara, la corsa più drogata di sempre. Nei 1500 metri femminili ormai la 6ª potrebbe arrivare all’argento, ammesso che l’americana Shannon Rowbury ci tenga a salire su un podio contaminato che continua a cambiare e a cui nessuno può credere. A cui nessuno ha mai creduto. L’ultima a cadere è la turca Gamze Bulut. Oggi si scopre che il suo passaporto biologico non torna e secondo «Zaman», il quotidiano preso di mira dal governo, è ufficialmente sotto inchiesta. Avrebbe dovuto ereditare l’oro dalla compagna di nazionale, Asli Cakir Alptekin: già squalificata dal 2004 al 2006 e al momento di nuovo ferma per altre frodi. Le hanno tolto il 1º posto e non si sono certo sognati di riassegnarlo visto che l’ordine di arrivo è maledetto. Alptekin è uno dei nomi che animano l’indagine francese sull’ex presidente della Federazione internazionale, Lamine Diack. Il senegalese con lussuosa residenza a Parigi è accusato tra le altre nefandezza di aver estorto, tramite il figlio Papa Massata, 650 mila euro alla turca garantendole in cambio di insabbiare il caso. Invece ha affossato l’atletica, trainata verso il basso da 1500 metri senza pace.
Si salvi chi può
Solo la settimana scorsa la svedese di origini etiopi, Abeba Aregawi, originariamente 5ª, è stata fermata per un esame sballato. Colpa del Meldonium, l’ultima trovata dei bari, finito nella lista dei farmaci illeciti solo il 1º gennaio 2016. Il 7º posto della corsa più zozza del mondo è stato cancellato quando i valori della bielorussa Natallia Kareiva hanno superato il confine della realtà e pure la piazza n. 9, all’inizio occupata dalla russa Ekaterina Kostetskaya, è saltata grazie a un bando di 2 anni rimediato nel 2014. Più che una competizione pare il prontuario del perfetto dopato.
Resistono Maryam Yusuf Jamal, nata in Etiopia, rifugiata in Svizzera e oggi atleta del Bahrein, attualmente ufficiosa vincitrice. Con cauta previsione. Dietro di lei, Rowbury scala le posizioni fino a un virtuale argento e a completare il nuovo, provvisorio e chissà se mai assegnato podio la slovacca Lucia Klocova passerebbe dall’8º al 3º posto. Subito dopo l’inglese Jane Dobriskey che ha accusato le colleghe dal minuto zero e ha passato i suoi guai per questo. In mezzo alla classifica rivisitata in realtà resisterebbe pure l’altra russa Tatyana Tmoashova. Avrebbe chiuso 4ª ma già si è presentata ai Giochi dopo 2 anni di stop, rimediati per aver scambiato una provetta di urina, e ovviamente è tra i nomi più chiacchierati del caso Russia, con l’intera nazione sospesa per doping di Stato e destinata a una probabile esclusione di massa ai Giochi.
La sfida del male
Il peggio è che il 10 agosto 2012, subito dopo l’arrivo, sono scattati i sospetti perché le turche non davano alcuna fiducia, le russe nemmeno. Sono partiti i tweet di mezzofondiste incredule e puntuali le risposte indignate delle ragazze turche che hanno trasformato l’ovvio scetticismo in una questione politica, un pregiudizio contro il loro Paese. Una gara così devasta la credibilità di un movimento e scippa ai 100 metri di Ben Johnson 1988 il titolo di «the dirtiest race», la gara più sporca. Prima o poi, molto dopo i 1500 di Rio, riordineranno i tempi con una nuova classifica ma sarebbe meglio archiviare la sfida del male: anabolizzanti contro steroidi. Lasciamo questo sfortunato podio vuoto, il risultato di una collezione di orrori. Non c’è miglior slogan contro il marcio.