La Stampa, 7 marzo 2016
Il mondo della finanza sta ancora dormendo nel paese di Alice (senza meraviglie)
L’economia mondiale si guarda allo specchio di Alice e niente è come sembra. Il mondo in questo momento non è proprio un paese delle meraviglie ma ci sono segnali incoraggianti in Europa, America e Asia: dalla disoccupazione in calo alla salute del sistema bancario, dall’emergenza di nuove tecnologie alle montagne di denaro nei fondi pensione e d’investimento.
Ma né i mercati, né il pubblico, né tantomeno i politici considerano questi miglioramenti in maniera razionale, preferendo vedere il bicchiere mezzo vuoto. Manca una narrativa forte – alla Lewis Carroll – che colleghi questi segnali isolati e permetta a investitori, banchieri centrali e governi a scrivere la storia della ripresa.
In questo frangente d’incertezza quasi totale, stanno accadendo cose strane nei mercati del capitale. La banca del Giappone abbassa i tassi d’interesse sotto lo zero e lo yen comincia a salire – una reazione che non è prevista in nessun testo di economia. Il biondo sindaco di Londra Boris Johnson decide che è a favore dell’ uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e la sterlina crolla, anche se i sondaggi d’opinione non sono cambiati per niente. E in America, la disoccupazione scende a livelli bassissimi ma l’economia, e soprattutto i salari, non crescono come devono.
Che cosa sta succedendo? È la domanda sulla bocca di Wall Street, la City e Tokyo. Nessuno lo sa per certo ma vale la pena provare a spiegare questo momento surreale. Offrirei tre chiavi interpretative: crescita bassa; poca propensione al rischio da parte di investitori e banche; instabilità geopolitica.
La crescita anemica è la piaga dell’economia mondiale del dopo-crisi. Secondo gli economisti di Morgan Stanley, il tasso medio a lungo termine degli Usa sarà solo del 1.5% l’anno. In Europa è ancora peggio, intorno all’1%. I problemi creati da economie con velocità di crociera così lente non sono solo quelli ovvi: mercati nervosi, scarsa accumulazione di ricchezza da parte dei consumatori e pochissimi incentivi per gli investimenti delle imprese. Il ristagno economico provoca anche cambiamenti «strutturali» nei comportamenti di banche centrali ed investitori: le prime sono costrette a continuare a pompare denaro nell’economia sperando che resusciti, mentre i secondi si abituano a dosi da cavallo di stimolo e riducono le proprie attività al minimo indispensabile. «Le banche centrali ci hanno dato talmente tanto valium negli ultimi anni che siamo ancora un po’ rintronati, incapaci di capire cosa stia succedendo», mi ha detto un finanziere di Londra l’altro giorno.
La vera tragedia di questo frangente economico sarebbe se avesse ragione Larry Summers, il vecchio ministro del Tesoro di Bill Clinton, e fossimo in un «ristagno secolare» – un lungo periodo di crescita depressa e deflazione. L’esempio-baubau è il Giappone, che non cresce da circa vent’anni. C’è chi pensa che Summers sia troppo pessimista. Chi vede dei barlumi di speranza nel calo della disoccupazione in America – che è sotto al 5% – e in Europa – dove è ancora al di sopra del 10% ma almeno è ai livelli più bassi dal 2011. Chi, come il vice-governatore della banca d’Inghilterra Jon Cunliffe, pensa che si tratti di un ciclo, che prima o poi diventerà positivo, e non di un azzeramento dell’economia globale. Pure Matteo Renzi ha provato a pensare positivo la settimana scorsa con la sua esternazione – Facebook sul successo dell’economia italiana. Ma anche se Renzi, Cunliffe e Mario Draghi hanno ragione, ci vorrà del tempo per vedere i frutti della ripresa. E fino a quando i mercati non saranno convinti che le grandi economie mondiali riprenderanno a crescere, sarà difficile per gli investitori prendere rischi.
John Maynard Keynes amava parlare degli «spiriti animali» dei mercati, la voglia di fare di investitori e aziende alla ricerca dell’utile. Ma al momento, nelle borse mondiali ci sono poche belve e molti animali domestici, impauriti dalla propria ombra. Basta guardare alla passione inconsulta degli investitori per obbligazioni che rendono poco o, nel caso del Giappone, ti costano soldi.
L’idea di fondo del capitalismo è che il libero mercato funziona perché investitori, banche e aziende prendono rischi nella speranza di guadagnare più degli altri. Per ora, invece, vogliono tutti giocare sul sicuro. Di cosa hanno paura? Qui la lista è lunga. Dai tremori ormai perpetui del Medio Oriente che fanno rabbrividire l’Occidente, al caos di un’Europa impelagata nel bailamme dell’immigrazione. Dall’America stregata dal populismo agghiacciante di Donald Trump, alla Gran Bretagna che minaccia l’Europa e se stessa di staccarsi dall’Ue. Per non parlare della Russia e dell’Ucraina, della Corea del Nord e della Cina. È possibile che un evento esterno di grande portata – la decisione della Gran Bretagna di restare in Europa nel referendum di giugno, per esempio – possa far cambiare idea alle Cassandre e rivoluzionare la psicologia dei mercati. Più probabile è che si continuerà a navigare a vista per i prossimi mesi, con investitori, economie e governi schiacciati tra la voglia di crescere e la paura di un po’ di tutto.
Alla fine del libro di Lewis Carroll, Alice si sveglia e scopre che il mondo al contrario forse era stato tutto un sogno. I mercati e le economie stanno ancora dormendo.