7 marzo 2016
In morte di Nancy Reagan
New York L’eredità di Ronald Reagan forse non è mai stata così contesa come oggi. Donald Trump, Ted Cruz, Marco Rubio: tutti si proclamano «reaganiani». Ma da ieri l’unica custode discreta e legittima non c’è più. Nancy Reagan è morta per complicazioni cardiache nella sua casa di Los Angeles. Aveva 94 anni. Ne ha passati 52 al fianco del quarantesimo Presidente degli Stati Uniti. Si erano conosciuti nel 1949. Nancy, che era nata a New York il 6 luglio del 1921, aveva già 28 anni. Figlia di un’attrice e di un rivenditore di auto che però la vide appena: se ne andò di casa, subito dopo la sua nascita.
Sua madre si sposò con un neurochirurgo, Loyal Davis, che adottò Nancy, trasmettendole il suo cognome. Infanzia e studi a Chicago. Un diploma, ma la testa era già verso il mondo dello spettacolo. Una parte nel film East side, West side. Poi l’incontro con Ronald, che all’epoca era il presidente del sindacato degli attori cinematografici. Si sposarono nel 1952 e da allora divennero, semplicemente, i «Reagans». Due figli: Patricia Ann e Ronald Prescott.
In pubblico lei lo ha sempre guardato adorante, ma i biografi della coppia concordano su un punto: in privato nella loro casa di Pacific Palisades, nell’area di Los Angeles, «il vero guerriero era lei». All’inizio della sua carriera di mezzo sindacalista Ronald aveva una simpatia per il partito democratico. Quando, nel 1962, virò verso i repubblicani, qualcuno indicò Nancy: lo ha consigliato lei. Ma era totalmente fuori pista. I ruoli nella coppia erano chiari. Ronald manovrava il timone, a volte con strappi bruschi. Nancy si occupava di aggiustare la rotta, di assicurarsi che le insidie venissero evitate. È stato così fin dalla prima campagna elettorale per la carica di governatore della California nel 1967, sino alla Casa Bianca, dove Reagan approdò nel 1980. Cominciò l’età dell’oro del liberismo economico, del primato mondiale americano, della caduta epocale dell’Unione Sovietica. Difficile dire, anche per gli studiosi più preparati, quanto ci fosse di Nancy in tutto questo.
Alla Casa Bianca la first lady portò la sua eleganza e una dispendiosa rivoluzione estetica. Spazzò via l’arredamento e il clima penitenziale imposto da Carter. Furono di nuovo serviti i liquori agli ospiti; le tavole vennero imbandite con servizi di porcellana cinese costati 200 mila dollari. Ma dietro questa frivolezza, per l’appunto, «reaganiana», Nancy mantenne sempre alta la vigilanza sul marito. Nel 1987 Ronald stava per essere travolto, quando si venne a sapere che l’Amministrazione aveva segretamente venduto armi all’Iran. Sua moglie gli suggerì di ammettere pubblicamente «l’errore». E Ronald lo fece con un discorso televisivo drammatico e spiazzante.
In quello stesso anno a Nancy fu diagnosticato un cancro al seno e si sottopose a un intervento di mastectomia. Infine arrivarono gli anni dell’oscurità. Nel 1994 Ronald Reagan fu colpito dall’Alzheimer e iniziò quello che lui stesso definì «il lungo addio». Dieci anni. In un’intervista del 1989, la first lady si raccontava così: «È difficile immaginare che Ronald sia una cattiva persona. E infatti non lo è. Ma ci sono delle volte che qualcuno deve irrompere nella sua vita e dire qualcosa. E io ho dovuto fare questo, qualche volta».
Paolo Mastrolilli per La Stampa
Da Hollywood alla Casa Bianca. E’ la favola che aveva interpretato Ronald Reagan, ma forse ancora di più sua moglie Nancy, morta ieri a Los Angeles a 94 anni per un attacco di cuore. Secondo chi conosceva bene la coppia, era stata lei il vero motore delle ambizioni politiche del marito. «Senza Nancy - aveva detto l’amico di famiglia Michael Deaver - non ci sarebbe stato né il governatore Reagan, né tanto meno il presidente».
Anne Frances Robbins era nata a New York nel 1921, dall’attrice Edith Luckett e dal venditore di auto Kenneth Robbins, che aveva presto abbandonato la famiglia. La madre si era risposata con un neurochirurgo di Chicago, che aveva adottato la figlia e cambiato la loro vita. Nancy Davis, come aveva deciso di chiamarsi lei prendendo il nome del patrigno, aveva potuto coronare il sogno di seguire le orme della madre, diventando anche lei attrice. Non aveva grande talento, secondo George Cukor che le aveva dato il primo ruolo, ma le interessava la politica. Alla fine degli Anni 40 Hollywood era in preda alla campagna per dare la caccia ai comunisti, e il suo nome era apparso su un giornale come sostenitrice di due sceneggiatori finiti nella lista nera. Per salvarsi aveva chiesto l’aiuto del presidente della Screen Actors Guild, in pratica il sindacato degli attori. Il suo nome era Ronald Reagan, e dopo un primo incontro di lavoro avevano cominciato ad uscire insieme, fino a sposarsi nel 1952. La vita di entrambi era cambiata, così come l’affiliazione partitica: spinto alla moglie - secondo i maligni - Reagan era passato dai democratici ai repubblicani. Progressivamente avevano lasciato il mondo del cinema per quello della politica. Nancy era diventata il motore delle ambizioni di Ronald, che alla metà degli Anni 60 era stato eletto governatore della California. Lei assumeva e licenziava i collaboratori, provocando anche le prime polemiche, quando un ritratto di Joan Didion aveva descritto il suo sorriso come una maschera di falsità. Quando nel 1975 Nixon si era dimesso, Reagan aveva sfidato Ford per la nomination repubblicana nel 1976. Aveva perso, ma 4 anni dopo aveva vinto, grazie ai manager della campagna William Casey e Stuart Spenser, scelti da Nancy.
Come First Lady lei aveva scelto in apparenza un ruolo tradizionale, dedicandosi alla ristrutturazione della Casa Bianca, che aveva provocato enormi polemiche quando aveva speso 200.000 dollari per comprare una nuova collezione di piatti per 220 ospiti. Così era diventata «Queen Nancy». Dietro le quinte degli addobbi, però, era chiaro a tutti come lei fosse il consigliere più influente di Reagan. Questo rapporto era diventato ancora più stretto dopo l’attentato del 30 marzo 1981, quando lei non aveva mai abbandonato l’ospedale. Dopo l’attacco si era rivolta a un astrologo, Joan Quigley, perché aveva previsto che il 30 marzo sarebbe stato «un brutto giorno» per il presidente. Da allora in poi aveva preso a consultarlo in continuazione, per decidere l’agenda del marito, provocando uno scontro col capo di gabinetto Regan, che si ero concluso col suo licenziamento.
Aveva scelto anche la linea di difesa durante lo scandalo «Iran-contra», con le scuse che avevano salvato Ronnie, e le sue cause, come quella contro la droga e l’abuso di alcool, sintetizzata nello slogan «just say no». Quando era stata colpita da un tumore al seno, aveva parlato della sua mastectomia per sensibilizzare le donne e spingerle a fare gli esami preventivi come la mammografia.
Lasciata la Casa Bianca, Nancy e Ronnie erano tornati in California. Quando a lui era stato diagnosticato l’Alzheimer, lei aveva rotto col presidente repubblicano Bush per favorire la ricerca sulle cellule staminali, ed era diventata anche la custode della sua eredità. Fino alla morte e dopo, gestendo il funerale e la sua memoria come avrebbe fatto un regista di Hollywood. Ha avuto ragione il presidente Obama a dire ieri che Nancy, nel bene e nel male, «ha ridefinito il ruolo della first lady», e forse più.
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Fu la prima donna presidente degli Stati Uniti senza mai essere stata eletta, signora assoluta di una Casa Bianca dove il marito, presidente formale, scivolava in segreto verso le nebbie dell’Alzheimer. Per almeno un anno, il 1988, l’ultimo della amministrazione di Ronald Reagan, fu lei, Nancy, guardia del corpo e della mente dell’uomo che venerava, a portarlo per mano nel tramonto.
Ricorderemo Anne Frances Robbins, divenuta poi Nancy, e infine Reagan dal 1952, data del matrimonio con Ronald, come la figura esile e piccina, accanto al marito negli incontri con i reporter nel giardino della Casa Bianca, che stringeva la mano di lui, che lo reggeva per il gomito per dargli i tempi come fanno gli attori e i cantanti nei duetti, e che con aria soave e adorante gli ricordava e gli suggeriva quello che doveva rispondere, quando lui divagava.
Come per anni la corte della Presidenza era riuscita a nascondere a milioni di americani la paralisi alle gambe di Franklyn Delano Roosevelt fiaccato dalla poliomielite, così Nancy riuscì per mesi a conservare il segreto di un presidente ai primi stadi dell’Alzheimer.
La sua vita, spenta a 94 anni ieri in quella Bel Air, quell’enclave ancora più esclusiva della già esclusiva Beverly Hills dove era andata a vivere in una villa meravigliosa regalata ai Reagan da ammiratori californiani, racconta di una storia d’amore vero, di una dedizione implacabile, andata ben oltre il gioco delle parti e l’interpretazione del ruolo di First Lady, prima in California, dove il suo Ronnie era stato governatore, e poi degli Stati Uniti. Era stata un’attrice, sia pure di seconda fila, negli anni ‘40 e ‘50 e come tale aveva conosciuto il collega Reagan. Della sua professione aveva conservato le pose, la dizione, e il gusto per i costumi, quella gioielleria un po’ vistosa quegli abiti, quei tailleur dei preferiti Bill Blass e Oscar de la Renta, che lei si faceva donare dai grandi dell’alta moda. Per vanità, l’accusavano i mass media che la detestarono a lungo dimenticando di avere incensato un’altra First Lady vanitosissima, Jacqueline Kennedy.
L’ostilità politica e ideologica verso il marito si riversò subito anche contro di lei, che di Ronnie era la custode. La dicevano ambiziosa e snob, di quello snobismo da nuovi ricchi, manifestato in periodiche spedizione di “shopping” a Rodeo Drive, la via dei grandi marchi nel centro di Beverly Hills, in compagnia delle “girls”, come le chiamava lei, le ragazze un po’ stagionate che avevano diviso la sua giovinezza a Hollywood. Spendacciona, come spendacciona era colei che incosciamente l’aveva sempre ispirata, appunto Jackie che esasperava Jack Kennedy con i suoi conti di sartoria, ma sempre per il bene della nazione e per l’immagine della Casa Bianca. Aveva ordinato un nuovo servizio di piatti di porcellana, ancora oggi in uso, per sostituire quello lasciato dai Carter, coppia “di provincia”, secondo lei, nuovi pezzi d’arredamento e gran spostamenti di mobilia. Di nuovo seguendo la traccia di Jacqueline.
Ma la sua vita, che per quasi mezzo secolo, dal 1952 al 1999, era stata al fianco di Ronald, era dedicata, da “casalinga”, come si definiva civettando, alla costruzione del tempio Reagan. Nel trascorrere degli anni il potere di Nancy era cresciuto in proporzione inversa all’indebolirsi della facoltà del suo Ronnie. Era diventata la “zarina”, sempre più imperiosa e sempre più intollerante di chiunque osasse mettere in dubbio il mito vivente del marito. Quando il capo gabinetto, il quasi omonimo Donald Regan, osò dire che il Presidente si sarebbe dovuto dimettere dopo lo scandalo dei finanziamenti illegali ai Contras del Nicaragua, fu incenerito dai fulmini di lei e prontamente allontanato.
Divenne lei, ben oltre il classico “potere del cuscino” che tutte le First Lady possiedono essendo coloro che per ultime si coricano con il Capo dello Stato e per prime gli parlano al risveglio, la “presidentessa” segreta. E ossessiva. Dopo l’attentato del 1981, che portò Reagan vicinissimo alla morte con il proiettile conficcato a pochi centimetri da cuore, l’amore sposò la paranoia. Era lei che rivedeva l’agenda degli spostamenti del marito, non prima di avere consultato un’astrologa per sapere se gli astri avrebbero approvato quel viaggio.
Se dubbi di opportunismo o di calcolo personale fossero venuti durante la carriera di Ronald, sarebbero stati fugati dopo l’ammissione pubblica, fatta attraverso una toccante lettera al popolo americano, della malattia. Nancy divenne Ronald. Ne centellinò, fino a eliminarle, le apparizione in pubblico, riservando gli incontri ai pochi, veri amici che frequentavano la sua casa, attori, come Charlton Heston, che ancora, a sprazzi, il marito riconosceva. Faceva filtrare, con sapienza, le piccole indiscrezioni commoventi che uscivano dalla villa di Bel Air. Sapemmo che Ronnie si alzava nel cuore della notte, per rastrellare in vestaglia di seta svolazzante le foglie secche attorno alla piscina, circondato dagli uomini del Servizio Segreto, nel timore che cadesse nella vasca. Che Ronnie rigirava fra le dita un souvenir di vetro da pochi soldi della Casa Bianca, quelle palle di vetro con la neve finta, mormorando a lei: «Questo mi ricorda qualche cosa».
Vivere 94 anni, lesinando la propria presenza pubblica a qualche rara commemorazione quasi sempre nella enorme Biblioteca Reagan in California sotto le ali del vecchio Air Force One sul quale aveva volato con lui tante volte, avendo superato una mastectomia da cancro al seno nel 1987, mentre ancora era First Lady, assolve e monda da peccati e antipatie. E quella sua figura di venti centimetri più piccola del marito, ridotta al peso di un cardellino negli ultimi anni sotto un volto scavato da occhiaie profonde, ma sempre impeccabilmente vestita e ornata dall’inevitabile filo di perle, ricorda il passato di una Casa Bianca, e di una borghese dignità che non suscita più rancore. Semmai rimpianto.