6 marzo 2016
Gli italiani rapiti in Libia da ieri sera sono finalmente liberi • In Turchia il quotidiano Zaman è stato commissariato • A Roma e Napoli le primarie del centrosinistra • In Italia l’Aids contagia undici persone al giorno • Mick Jagger «inorridito» dalle nozze Murdoch-Hall • Dopo il caso del neologismo coniato da un alunno delle elementari, la Crusca è sommersa da centinaia di segnalazioni
Libia Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due dipendenti della «Bonatti costruzioni» sequestrati il 19 luglio scorso con altri due connazionali, Salvatore Failla e Fausto Piano, rimasti uccisi in un conflitto a fuoco quattro giorni fa, da ieri sera sono finalmente liberi. I due, presi in consegna dalla nostra intelligence, vengono trasferiti prima in macchina da Sabratha al terminal petrolifero dell’Eni, a Mellitah. Da qui, con un elicottero civile vengono portati sulla pista dell’aeroporto di Mitiga, a Tripoli o, in caso di problemi di sorvolo dell’area, in direzione di Malta. E poi infine in Italia, all’aeroporto di Roma Ciampino. I due sopravvissuti al sequestro sono stati trattenuti per due giorni, inspiegabilmente, dalle milizie islamiste di Sabratha. Per tutto il pomeriggio erano rimbalzate notizie contrastanti, in un ping pong di dichiarazioni tra gli esponenti politici e militari di Sabratha e il governo islamista di Tripoli. Convinti, gli uni e gli altri, di dover sfruttare - sul palcoscenico dei media internazionali - la «liberazione» dei due ostaggi, e il conflitto a fuoco con i sequestratori presunti jihadisti, pur se con l’effetto collaterale dei due prigionieri italiani uccisi. Ma volendo, gli uni sugli altri, marcare una propria supremazia. Insomma, Sabratha voleva un riconoscimento politico, rivendicando una autonomia da Tripoli, come se fosse uno Stato sovrano a sé. Alla fine i funzionari dei nostri Servizi, discutendo per un giorno intero a Sabratha con le milizie e il sindaco, hanno ottenuto la liberazione dei due italiani (Ruotolo, Sta).
Turchia Da ieri Zaman, il maggior quotidiano della Turchia, è commissariato, sotto il controllo diretto del governo: la polizia ha preso il possesso della redazione, i sistemi di posta elettronica sono bloccati, persino l’archivio storico on line sembra essere stato cancellato. Abdulhamit Bilici, il direttore del giornale, è stato licenziato e lo stesso è accaduto a uno dei maggiori commentatori, mentre il sito dell’agenzia Cihan, che fa parte del gruppo, è stato oscurato. E i lettori che manifestavano per le strade di Istanbul, protestando per l’ennesimo bavaglio che il regime di Erdogan mette alla stampa, sono stati accolti con gas lacrimogeni, idranti e proiettili di gomma. Colpa massima di Zaman, che diffonde 650mila copie, è stata la vicinanza con il movimento “Hizmet” di Feitullah Gulen, ex alleato di Recep Tayyp Erdogan e oggi rivale costretto all’esilio negli Stati Uniti. Il movimento è accusato di attività terroristiche con lo scopo di «rovesciare» il governo di Erdogan. Secondo Reporter senza frontiere, la Turchia è al 149esimo posto su 180 Paesi nella classifica che valuta la libertà di stampa. Nelle carceri al momento sono rinchiusi più di 30 giornalisti. Ma Erdogan sa di poter approfittare del momento: il mondo, e l’Europa soprattutto, non possono fare a meno del suo aiuto per gestire la crisi dei profughi. Domani a Bruxelles il premier di Ankara Davutoglu incontrerà i partner della Ue e si aspetta critiche di circostanza per la repressione della stampa. Ieri lo stesso Davutoglu ha dichiarato che il governo è estraneo alla vicenda. Da Bruxelles la Commissione europea ha sottolineato che «i diritti fondamentali devono essere rispettati », mentre il dipartimento di Stato Usa ha definito «preoccupante» il caso Zaman. Più energiche le critiche di Mosca, che ha esortato i partner occidentali a ricordare alla Turchia il dovere di rispettare la libertà di stampa (Cadalanu, Rep).
Primarie A Roma e a Napoli scatta il giorno delle primarie per scegliere il candidato sindaco del centrosinistra che proverà a riconquistare il Campidoglio dopo la caduta di Ignazio Marino e ad espugnare palazzo San Giacomo, scongiurando il bis dell’arancione De Magistris. Una consultazione su cui pesa l’incognita affluenza, che potrebbe risultare condizionata dalle spaccature interne ai democratici: una costante in entrambe le città. Tant’è che «buone primarie a tutti», ha augurato ieri il segretario-premier Matteo Renzi nella e-news destinata ai militanti: «Il Pd da sempre coinvolge, partecipa, discute in modo aperto dei propri candidati. A voi la scelta, amici! Che vincano i migliori. E chi vuole vada ai seggi». Un appello al voto che fa il paio con la stoccata del presidente Matteo Orfini: «Noi vogliamo fare così le scelte importanti, attraverso la partecipazione dei nostri elettori. Altri preferiscono accordi spartitori siglati nelle ville di Berlusconi o consultazioni farsa come quelle del M5S, che servono solo a selezionare qualche burattino, che poi risponde agli interessi privati di Casaleggio ». Tutti e due consapevoli di non potersi permettersi un flop ai gazebo. Avendoci messo, sia l’uno che l’altro, la faccia: Renzi su Roberto Giachetti, il favorito nella corsa romana, che un paio di giorni fa aveva definito le primarie «un circo da cui la gente scappa», per poi parlare di equivoco; Orfini su Valeria Valente, la carta della maggioranza dem a Napoli. La quale dovrà vedersela con un agguerrito Antonio Bassolino, tornato ieri a battere i pugni: «Il candidato sindaco non si decide a Roma, ma qui. Il Pd rispetti la città». Oltre che col 26enne Marco Sarracino e il medico Antonio Marfella. La partita più difficile si gioca comunque nella capitale, dove a sfidare Giachetti c’è un altro piddino, Roberto Morassut, già assessore con Veltroni: entrambi hanno chiuso ieri la loro campagna elettorale in periferia. A far da contorno, il generale Domenico Rossi, il verde Gianfranco Mascia, l’outsider Stefano Pedica, la studentessa autistica Chiara Ferraro (Vitale, Rep).
Aids Ogni giorno, in Italia, 11 persone scoprono di essere sieropositive. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità le nuove diagnosi di infezione da Hiv sono 4 mila l’anno. Siamo il secondo Paese in Europa per incidenza di Aids, dopo il Portogallo (Galeazzi e Lombardo, Sta).
Nozze Dopo il matrimonio celebrato in comune, ieri Rupert Murdoch, 84 anni e Jerry Hall, 59, si sono ridetti sì davanti all’altare di St Bride a Fleet Street. Abito blu per il mogul australiano, seta e tulle color ghiaccio per l’ex signora Jagger che sfoggiava un diamante da 20 carati del valore di quasi 3 milioni di euro. L’ex marito Mick, leader dei Rolling Stone, secondo i tabloid britannici sarebbe «sconvolto e inorridito» (Cds).
Petaloso Dopo il caso del neologismo «petaloso» coniato da un alunno delle elementari e diventato virale, ogni altro nuovo conio infantile è stato rivendicato da genitori, nonni, docenti che lo hanno ascoltato e annotato come possibile estensione del lessico nazionale. Pare che alla Crusca arrivino cinquecento proposte di nuove parole alla settimana. Fra le nuove proposte la maggioranza è in «-oso»: «smoggoso», per inquinato e dunque malsano; «profumoso», «dondoloso», «cernieroso». Ma fra le invenzioni infantili sono comparsi anche «brontolite» e «sbrocchevole» (Bartezzaghi, Rep).
(a cura di Roberta Mercuri)