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 2016  marzo 05 Sabato calendario

«18 anni di carcere a chi fugge, a questo punto conviene sparare ai testimoni». È una battuta, ma fino a un certo punto

Qualsiasi cosa succeda, un imbecille vi dirà: «Inaspriremo le pene». Se risuccedesse, un altro imbecille vi dirà: «Però abbiamo inasprito le pene». L’esito di questa demagogia securitaria – cara alla destra e quindi, ora, anche a Renzi – l’hanno ben riassunta i satiri di Spinoza.it a proposito del nuovo reato di omicidio stradale: «18 anni di carcere a chi fugge, a questo punto conviene sparare ai testimoni». È una battuta sino a un certo punto: la celeberrima coppia dell’acido, per esempio, ha preso meno di quanto potrebbe beccare un coglione alla guida. A furia di legislazioni forzate dai tamburi mediatici (stupri, omicidi, femminicidi, allarmi numericamente falsi) si rischia che un assassinio colposo sia punito più gravemente di uno volontario. Un furto con destrezza – diceva l’altro giorno l’ex magistrato Bruno Tinti – è punito più severamente di un falso in bilancio. Nel guazzabuglio manca una proporzionalità che oltretutto faccia capire che cosa un Paese ritenga più o meno grave: non dico una “scala di valori” (per carità) ma insomma qualcosa di più solido di un sondaggio umorale. Ovvio che non stiamo neppure più a menzionare l’art. 27 della Costituzione e i principi rieducativi della pena (ah ah) e neppure quella punizione o impedimento fisico a delinquere che la pena, ormai, rappresenta nell’opinione comune. Da noi la funzione della pena è un’altra ancora. Non rieducare, non punire: solo calmierare la gente per un paio di giorni.