La Gazzetta dello Sport, 5 marzo 2016
Il ciclismo italiano ha trovato un nuovo giovane fenomeno. È Filippo Ganna che ha vinto a 19 anni il Mondiale su pista
L’oro che non t’aspetti. L’oro che sa di futuro. L’oro che mancava da 19 lunghissimi anni. L’oro nel tempio di Wiggins, nella gara che era stata il regno di Wiggins. L’oro 40 anni dopo Francesco Moser, ultimo italiano sul trono dell’inseguimento. L’oro da pelle d’oca, che fa piangere i compagni. E quel boato che accompagna il finale trionfale del ragazzo azzurro, che lo spinge nella poderosa rimonta sino alla maglia iridata, è roba che non si dimenticherà mai.
È l’oro di Filippo Ganna, sul tetto del mondo a 19 anni. Un’impresa quasi da non crederci, che piomba sull’Italia all’ora di cena e la inonda di gioia grazie alle gambe favolose di questo talento dal fisico da granatiere, con quel cognome da predestinato, che al primo Mondiale su pista della carriera e alla seconda esperienza nella specialità firma due gare capolavoro ed entra nella galleria dei giganti. Inseguimento, 4 chilometri a tutta per arrivare laddove sono riusciti campioni che solo a citarli c’è da tremare: Coppi, Riviere, Altig, Bracke, Moser, Boardman e naturalmente Wiggo. E adesso c’è anche lui, Ganna «gatto di marmo», con quell’aria spensierata, sorpresa sino a un certo punto. Beata incoscienza di quei 19 anni, di quella dirompente gioventù capace di mulinare il 54x14 non solo fin sul gradino più alto del podio, ma prima ancora al record italiano di Andrea Collinelli, il 4’19”153 che il 24 luglio 1996 ad Atlanta – il giorno prima che Ganna vedesse la luce: quando si dice la coincidenza – fu primato del mondo e regalò all’Italia l’oro olimpico. Davanti agli occhi del vecchio detentore, Pippo spazza via la storia alle 11.25, ora di Londra, volando a 56,222 orari: 4’16”127 in qualificazione, con una seconda parte di gara mostruosa (1’00”700 l’ultimo chilometro). Miglior tempo assoluto che di lì a 7 ore vale la finale contro il tedesco Domenic Weinstein. Pazzesco, lui che agli Europei, solo cinque mesi prima, aveva esordito sui 4 km in 4’27”, lui che nell’ultimo test aveva chiuso in 4’24”...
Ma a quel punto non può finire certo lì. Sui treni delle occasioni d’oro si sale quando passano. E il ragazzo verbano non se lo fa dire due volte. La finale è un’altra meraviglia, un’altalena di emozioni da batticuore. Lassù sugli spalti c’è il tutto esaurito, ma Pippo non si scompone. Parte lesto, più del solito, e fa pensare che può davvero essere il giorno dell’apoteosi, il giorno che l’Italia attende da 19 anni: Perth, 31 agosto 1997, Silvio Martinello campione del mondo nella corsa a punti, poi più nulla di quel colore. Ma ai 1000 metri Weinstein lo sorpassa e se ne va: 6 decimi di vantaggio al giro di boa, quasi 8 ai 3000, il tedesco sembra ormai lanciato verso il titolo. È un cagnaccio, lui. Guai però dare per morto «gatto di marmo», che ha fatto bene i conti e, come al mattino, apre il gas. Si conosce poco, e allora si mette nelle mani di Marco Villa, il c.t. che ha puntato subito sul suo nome e che lo pilota da bordo pista. E ai 3500 ecco il sorpasso. Pippo fila via verso l’oro, spinto più dal boato dei 6000 in tribuna che dalle gambe, ormai in riserva di energie, la bocca aperta a cercare ossigeno ovunque. E quando chiude la sua fatica, con un tempo quasi uguale a quello del mattino (4’16”141), il rivale a più di due secondi, apre le braccia al cielo, chiama gli applausi e se li beve tutti d’un fiato mentre nel box azzurro saltano tutti come matti.
L’abbraccio con Villa non ha bisogno di parole: già il c.t. non è uno che ne usa molte, non è uno che si lancia andare. «Te l’avevo detto che avevi i numeri...» si limita a dirgli a botta calda il cremasco, che proprio in Gran Bretagna, a Manchester, 20 anni fa aveva vinto il secondo titolo nell’americana. Ma in quel momento non serve dire molto, bastano gli sguardi. E gli occhi del c.t. non hanno mai brillato come ieri. Pippo non ci crede ancora: «Io campione del mondo a 19 anni! Al mio debutto! Roba da matti» dice appena ha smaltito la sbornia degli abbracci e delle strette di mano. «E poi quel tempo: 4’16”127, mamma mia cosa ho fatto! Ieri sera (giovedì, ndr), avevo chiesto a Villa quale fosse il record italiano. E quando lui mi ha detto 4’19” gli ho detto di prepararmi la tabella per quel tempo. Ma giuro, non avrei mai osato pensare a una roba del genere. In finale non sapevo veramente cosa fare. Se partire forte o se aspettare. Avevo paura di saltare, non sapevo come avrei tenuto. Ma i consigli di Viviani sono stati preziosi. Mi ha detto di usare il 54x14 e ha avuto ragione. Questo successo è mio, ma anche di tutta la squadra, di tutto lo staff. Che cosa mi regalo per questo oro? Una settimana di vacanza. Me la merito proprio».
Ma non è finita qui. Già oggi l’Italia può fare il bis. E proprio con Elia Viviani, che è in testa dopo la prima giornata dell’omnium, con 2 punti su Gaviria, grazie al 3° posto nello scratch e alla super prestazione nell’inseguimento (3° in 4’20”371) e nonostante la mezza delusione dell’eliminazione (5°). Sarà un’altra giornata dalle emozioni forti.
Ci provarono anche, da ragazzino, a metterlo in canoa. Per uno di Vignone – 1100 anime a due passi da Verbania, sul Lago Maggiore – ci sta. E poi era stato lo sport di papà Marco, azzurro nella prima metà degli Anni 80, undici titoli tricolori nella velocità kayak e l’Olimpiade di Los Angeles ‘84 nel cassetto dei ricordi. Ma tra Filippo Ganna e la pagaia non è mai scoccata la scintilla. E, visti i risultati in bicicletta, viene da dire «per fortuna». Da bambino era già bello alto, così tentò con il basket, poi con la pallavolo. Sotto rete prometteva, eccome. «Ma a 15 anni – ricorda il neocampione del mondo dell’inseguimento – mi fecero fare il salto in prima squadra. E quello che per me era un gioco, avrebbe dovuto diventare qualcosa di molto più serio. No, non faceva per me, io a quell’età volevo divertirmi». E allora ecco spuntare una bici, regalo di papà. Che poi è anche un po’ giusto, con quel cognome che profuma così tanto di ciclismo: e pazienza se al momento non si è ancora riusciti a capire se, nonostante le origini varesine di nonno Ambrogio, ci sia o meno un grado di parentela con il Luigi Ganna primo vincitore del Giro d’Italia nel 1909.
La prima gara, sembrerà strano, fu un ciclocross. Poi la strada, e quelle prime crono niente male: il tricolore allievi 2012 è il punto di partenza, che vale al pupillo dell’ex pro’ Marco Della Vedova, tuttora suo punto di riferimento, gli sguardi sempre più interessati da parte dei tecnici della nazionale. Si affaccia anche alla pista, con quel fisico favoloso (oggi è alto 1.93 per 80 kg di peso). E al secondo anno da junior, sui 3 km, sgretola il record italiano di Ignazio Moser volando in 3’18”970, prima di andare a sfiorare il bronzo nella crono ai Mondiali di Ponferrada 2014.
Il debutto tra i dilettanti con la Viris Vigevano, poi il passaggio quest’anno alla Colpack, la squadra che più di tutte crede nel binomio pista-strada (non a caso anche Consonni e Lamon, pure loro freschi di exploit col quartetto, vengono da lì). E all’orizzonte, dopo il corteggiamento di Dave Brailsford per il suo Team Sky, c’è la Lampre-Merida, che ci ha visto giusto e lo ha già fatto debuttare tra i pro’ da stagista, in attesa di buttarlo definitivamente nella mischia dal 2017. Dalle parti di casa, Pippo si allena ogni tanto con Elisa Longo Borghini, la miglior stradista italiana. È molto amico dello sciatore azzurro Max Blardone. E poi ha quel simpatico soprannome: Gatto di Marmo. «È stato il c.t. Marco Villa a chiamarmi così, dopo avermi visto in una crono: diceva che ero talmente rigido che nelle curve non piegavo manco la bici...Spero che adesso mi chiami almeno Gatto di Cristallo». Ci ride sopra. E intanto coltiva i suoi sogni. «Ne ho tre: la Roubaix, la Sanremo e il Mondiale della crono». Beh, nell’attesa ieri ha fatto le prove.