Avvenire, 5 marzo 2016
Premier League, non è tutto oro quello che luccica
La Premier League è unanimemente considerato il campionato più bello del mondo: stadi pieni, milioni di telespettatori in tutto il mondo, grandi campioni e in questa stagione anche l’incertezza di un outsider in vetta alla classifica, il sorprendente Leicester di Claudio Ranieri. Sono calati i successi internazionali (ultimo trionfo la Champions League del Chelsea nel 2012) di fronte all’ondata spagnola che fa incetta coppe europee. Ma le squadre inglesi sono comunque protagoniste in Europa League con Tottenham, Liverpool e Manchester United. Mentre in Champions l’unica sicurezza, dopo l’andata degli ottavi, è rappresentata dal City. L’Arsenal è praticamente fuori contro il Barcellona e il Chelsea deve rimontare la sconfitta col Psg al Parco dei Principi. La forza della Premier League – e a cascata di tutto il calcio inglese (la Championship è il campionato di serie B più seguito del mondo) – però va al di là dei risultati e risiede nella sua capacità unica di offrire un livello di spettacolo standard a prescindere dai protagonisti: intensità, pubblico, impianti moderni ed entusiasmo sugli spalti. E una reputazione molto elevata. Ogni volta che in Italia il proprietario di un club di Serie A perde la faccia, il ritornello è pronto: in Inghilterra non sarebbe successo. Emblematico il caso di Giampietro Manenti, l’uomo che ha portato definitivamente il Parma verso la bancarotta. In quelle settimane la richiesta principale del sistema calcio era quella di introdurre anche in Italia il “fit and proper test”, cioè la severa scrematura che impedisce a imprenditori e uomini d’affari con un passato poco chiaro di diventare presidenti di un club professionistico inglese (ogni serie ha le sue modalità di applicazione, ma il concetto centrale è simile). Ma non è tutto oro quello che luccica. Lo dimostra il recente rapporto di Transparency International: il Global Corruption Report dedicato allo sport, presentato pochi giorni fa a Berlino e Milano. Due capitoli sono dedicati al calcio professionistico inglese. Sotto la luce dei riflettori finiscono proprio le falle del “fit and proper test”. Due gli esempi citati. Vladimir Antonov, il precedente proprietario del Portsmouth, era stato considerato degno di comprare il club inglese nonostante le authority fi- nanziarie britanniche non consentissero ad Antonov di fare affari Oltremanica a causa di una lacuna nella comunicazione di informazioni economiche ritenute necessarie. Thaksin Shinawatra, l’imprenditore tailandese che ha venduto il Manchester City agli sceicchi, venne autorizzato ad acquistare il club inglese nonostante accuse di corruzione e violazione dei diritti umani da parte di Amnesty International e Human Rights Watch. L’allora direttore generale della Premier League, Richard Scudamore, si difese dicendo che quelle contestazioni erano state formulate dal governo di Bangkok non eletto democraticamente che aveva spodestato Shinawatra. Ma alla fine il tailandese venne effettivamente condannato da un tribunale del suo Paese dopo un nuovo avvicendamento ai vertici del potere tailandese. Senza dimenticare il caso di Roman Abramovich: nel corso di questi anni sono stati tanti a sollevare quesiti sull’origine delle ricchezze dell’uomo d’affari russo proprietario del Chelsea. La conclusione del report di Transparency International è piuttosto severa: «Fino a quando le informazioni alla base dell’applicazione del “fit and proper test” non saranno di pubblico dominio, non è sicuro che questo controllo sia sufficiente a proteggere le società di calcio inglesi. Non c’è evidenza che basti a capire davvero da dove venga la ricchezza di un proprietario, elemento necessario per combattere il riciclaggio di denaro». E qui entra in scena l’altro capitolo dedicato alla Premier nelle 398 pagine del Global Corruction Report (una sorta di summa di tutte le zone d’ombra dello sport mondiale): l’eccessiva tolleranza di strutture proprietarie basate in paradisi fiscali. Secondo uno studio elaborato dal Tax Justice Network, agenzia in- ternazionale specializzata nello studio e nell’analisi della finanza off-shore, 34 club professionistici inglesi sono controllati da società che hanno sede in paradisi fiscali fuori dai confini del Regno Unito. Si tratta di poco meno del 25% del totale. Questo fenomeno, sempre secondo i dati elaborati da TJN, genera un flusso di cassa di circa 4.8 miliardi di dollari provenienti da sistemi off-shore. Viene citato il caso del presidente del Bolton Wande-rers, Eddie Davies, che vive nell’Isola di Man e controlla il club attraverso un trust delle Bermuda. I suoi finanziamenti alla squadra arrivano tramite prestiti da parte di una società chiamata Moonshift Investments LTD che, secondo indiscrezioni raccolte dagli autori del report di TJN, dovrebbe essere basata alle Isole Vergini Britanniche. «Il fatto che il club dipenda interamente da prestiti offshore dovrebbe preoccupare i tifosi», scrive Transparency International. Ancora più intricata la vicenda di Carson Yeung Ka Sing, l’imprenditore di Hong Kong che ha comprato il Bimingham City nel 2009 (allora in Premier, adesso in Championship) attraverso una società delle Isole Cayman. Yeung sarebbe diventato ricco grazie a saloni di acconciatura per ricchi vip e giocatori di baccarà a Macao (poi è entrato nel settore immobiliare e dei casinò). La polizia di Hong Kong però ha voluto vederci chiaro sull’origine della sua fortuna e a marzo 2014 lo ha condannato a 6 anni di prigione per riciclaggio (pena sospesa in attesa del processo).
«Noi non vogliamo accusare i proprietari stranieri – scrive Transparency International – ma vogliamo mettere in evidenza la preoccupazione legata a prestiti e azioni da parte di società con sede in paradisi fiscali». Il timore è che la Premier League, il campionato più ricco e famoso del mondo, e le altre serie professionistiche inglesi possano subire infiltrazioni pericolose a causa di queste strutture proprietarie nebulose. Nemmeno il campionato più scintillante del pianeta è al riparo. E le maglie del “fit and proper test” non sembrano così strette.