la Repubblica, 5 marzo 2016
«Non ho mai conosciuto Yara» dice Bossetti in aula
Così tosto, incalzante, forse nemmeno l’ultrà innocentista sceso da Chiasso e seduto in “curva” a cogliere ogni movimento dei muscoli dell’imputato se lo sarebbe immaginato. Quando allinea lo sguardo a quello della pm. «Dottoressaaa...! Dottoressaaa...! Ma scusi eh?!, come faccio a ricordarmi, dai...» (si parla, ovviamente, del maledetto 26 novembre 2010). Non mi ricordo neanche cosa ho mangiato ieri».
Quando a un certo punto sbotta e prende la scena in un eccesso di esuberanza: «Dottoressa, io non sto mentendo, cosa che hanno fatto quelli che hanno preso posto prima di me su questa sedia». Lei: «Scusi? Hanno mentito tutti?». «Si, tranne i miei consulenti qui hanno mentito tutti». In primis, gli edicolanti. Come diamine fanno a non ricordarsi di lui, del Bossetti che si fermava – è la sua versione – ogni sera tornando dal lavoro a comprare figurine e gormiti e braccialetti ai figli «che viziavo»?
Trentunesima udienza, parla Massimo Bossetti. È il suo giorno. Il grande imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio finora aveva sempre e solo ascoltato: uniche deroghe al profilo basso, a volte impalpabile – sempre lì nell’angolo a destra, prima fila, accanto agli avvocati, gli occhi azzurri stretti sulle slide, le orecchie allungate su linguaggi troppo tecnici non solo per lui – uniche concessioni, dicevamo: quando un collega di lavoro che lo chiamava “Favola” per le balle in cantiere fa mettere a verbale che «Massimo minacciò il suicidio quando era in crisi con la moglie». E un «basta! È intollerabile», all’ultima udienza, quella in cui Marita Comi, madre dei tre figli, ammette le ricerche porno anche coniugali sul computer di casa.
Il momento si compie alle 16.30. C’è un’aula piena ad attendere Bossetti: cronisti come mai, claque di sostenitori, curiosi, parenti, forze dell’ordine. Dentro, clima teso, a tratti surreale. Letizia Ruggeri la prende larga: chiede all’artigiano presunto killer come si costruisce una casa. «Ci sono i pannelli, le armature di ferro, si fa la gettata...». Per uno che ha iniziato a maneggiare cazzuola e mattoni a 14 anni è l’occasione buona per una lectio magistralis. «Siamo qui apposta per spiegare...», sarà la frase cult di Bossetti nei 50 minuti di interrogatorio (rinviato poi a venerdì).
Non c’è niente da fare: lo spettacolo del noir formato “processandia” – al netto di una ragazzina di 13 anni massacrata in un campo che ancora aspetta giustizia – per molti è semplicemente udire la voce di questo carpentiere abbronzato in jeans e felpa blu che replica alle domande della sua grande accusatrice. Domanda: «Ha mai conosciuto Yara e/o suoi familiari?». «Yara mai. Conoscevo, per lavoro, il papà, ma solo di vista». Mastica la gomma Bossetti. «Vuole togliersi dei sassolini dalla scarpa», diranno gli avvocati. Si erano offerti di levarglieli loro: un’ora se n’è andata via perché la difesa ha chiesto alla Corte di invertire l’ordine dell’interrogatorio: prima loro, poi il pm, poi le parti civili. «Richiesta respinta», li gela la presidente Antonella Bertoja. Rimbalzata anche la “prova Hacking Team” (richiesta di acquisizione di una serie di email mandate dall’ad David Vincenzetti nelle quali si parlava del ruolo della società e del software di loro produzione Galileo nell’arresto di Bossetti). Fuori i secondi, subito a bomba. Inizia pm Ruggeri: «Che cosa ha fatto il 26 novembre 2010?». Bossetti va a copione: «Dottoressa... Per me quella giornata era come tutte le altre, non posso ricordare cosa ho fatto cinque anni fa». Si parla dei cantieri dove lavorava l’uomo, incastrato dal dna, nel mese cruciale: Mapello, Palazzago, Bonate Sopra. Se c’era e dove e quando. «Se mi aiutate con gli scontrini (materiale edile) allora dico “ok certo, ero li o ero là». Nevicava? Pioveva? «Il Massi – verbale di colloquio in carcere con la moglie – a Marita lo aveva detto lui che quel giorno nevicava. Meteo: prima non si ricorda, poi si. Che cosa ha fatto quel giorno, però, zero. Ride Bossetti: «Dottoressa... e che ne so!».
A sentire l’imputato i pm che gli hanno stimolato i ricordi sono stati due: la Ruggeri, e sua moglie, Marita. «In carcere mi ha fatto il terzo grado: mi ha mancato di rispetto...». «E vi ricordate la pressione che mi avete fatto anche voi?». Si torna ancora sugli edicolanti «bugiardi». Che gli tolgono l’alibi dei “giri” in zona palestra a Brembate dove Yara è sparita prima di smettere di vivere. «Io parcheggiavo davanti all’edicola, a volte sul posto dei disabili». È solo l’inizio: a tante domande Bossetti dovrà ancora rispondere.