la Repubblica, 4 marzo 2016
La bandiera degli All Blacks diventerà la bandiera della Nuova Zelanda?
La parola Nuova Zelanda ne evoca subito un’altra, in tutto il mondo: All Blacks. I giganti del rugby. La squadra con la più alta percentuale di successi nella storia dello sport. Quelli della haka, danza di guerra che precede ogni partita. Quelli che vestono solo di nero, la felce argentata sul petto. Orgoglio di una nazione giovane e multirazziale, che oggi si identifica nei propri eroi ovali al punto di essere pronta a cambiare la bandiera ufficiale – appesantita dalla Union Jack dei vecchi coloni britannici – col simbolo degli attuali campioni e ambasciatori: Silvern Fern, la felce argentata, in campo nero. Sarà un referendum a decidere se i trionfi sui campi di battaglia di un gruppo di atleti invincibili – per lo più di origine maori – rappresentino meglio il passato, il presente e il futuro delle due grandi isole di Aotearoa, il “paese delle nuvole” nella romantica lingua originale. Nuova Zelanda. Dare un taglio al passato e cambiare vessillo per volontà popolare? Il caso più eclatante è quello del Canada, che nel 1965 ha adottato la foglia d’acero rossa. Questa volta c’è una grande Silvern Fern, con tante foglie per rappresentare la società pacifica e multiculturale. Il colore nero, quello con cui la nazione viene riconosciuta nel mondo. Poi il blu dell’Oceano Pacifico e quattro stelle rosse della Croce del Sud, che indicarono le isole ai loro scopritori. Ecco la bandiera che sfida quella tradizionale.Così la racconta chi l’ha progettata, il designer Kyle Lockwood: ha l’età (38 anni) e lo spirito di avventura giusto (vive a lavora a Melbourne, in Australia) per incarnare il neozelandese medio. Dall’altra parte? Il vessillo adottato nel 1902: ancora blu e la Croce del Sud, in alto a sinistra la bandiera della Gran Bretagna.
L’iniziativa, sostenuta dal premier John Key, sta provocando polemiche feroci: «Questo referendum è un’inutile follia: ci costerà ventisei milioni dei nostri dollari (in euro, quasi sedici milioni) e non succederà un bel nulla», protestano i suoi oppositori. Secondo l’ultimo sondaggio, del mese scorso, il 70% dei neozelandesi sarebbe contrario al cambiamento.
«Ho deciso un giorno che giocavamo a Twickenham contro l’Inghilterra, e le ho viste sventolare insieme: quella inglese, la nostra. Sembravano molto simili. Troppo». Richie McCaw sta con quelli vogliono cambiare. Richie non è una persona normale. Ha giocato 142 partite con gli All Blacks, le ha vinte quasi tutte, insieme a due titoli mondiali. Il capitano. Forse il più grande rugbista di tutti i tempi.
Così famoso e importante, per i suoi connazionali, che se si candidasse a primo ministro gli darebbero subito la poltrona. La politica – giura – non gli interessa. «Ma la felce argentata è da sempre un simbolo speciale, sulla maglia degli All Blacks. Rappresenta noi kiwis, neozelandesi: in patria, nel mondo». Anche un’altra leggenda ovale, Dan Carter, si è schierato: «La felce siamo noi, oggi». Una superficie grosso modo come l’Italia – se scavate nella Terra un buco all’altezza di Milano, e andate giù dritti, sbucherete a Auckland – ma solo quattro milioni e mezzo di abitanti. In Nuova Zelanda circa tre milioni di persone possono votare, solo la metà ha partecipato al referendum precedente, a dicembre: quello che fra cinque possibili alternative – all’inizio si era addirittura partiti con milleduecento proposte, quasi tutte includevano la felce o il koru, una conchiglia che è un altro simbolo maori – doveva scegliere la bandiera “sfidante”. Da ieri arrivano le schede a casa, via posta. Si potrà esprimere la propria scelta, e imbucarla, fino al 21 marzo. Una settimana più tardi lo spoglio.
«La felce rappresenta gli All Blacks: il nostro paese. E la natura, l’eredità maori». «Non vogliamo più l’Union Jack sulla nostra bandiera. La storia delle colonie è finita». «Assomiglia troppo a quella dell’Australia». Queste le principali ragioni di chi ha spinto per il referendum. In effetti, il vessillo dei canguri è quasi identico: cambiano solo le stelle (sono 7, bianche).
Anche in Australia vorrebbero cambiare, il risultato dei “cugini” potrebbe presto portare ad un referendum pure lì. Cathy Freeman, la stella dell’atletica, ci aveva già provato nel 2000, dopo aver vinto l’oro olimpico nei 400 ai Giochi di Sydney: sventolava la bandiera aborigena, bellissima. Rossa e nera – la terra, il popolo – con un sole giallo in mezzo: la vita.