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 2016  febbraio 16 Martedì calendario

Draghi, tra bail-in e titoli di Stato

Nel discorso di ieri di Mario Draghi alla commissione economica del Parlamento Ue dal punto di vista delle strategie di politica monetaria non vi è granché di nuovo. D’altronde non c’era da attendersi molto, anche se qualcosa di più specifico il presidente della Bce avrebbe potuto dire; invece ha ripetuto quello che ormai sembra uno slogan di assai debole incisività, ossia che la Bce è pronta ad agire a inizio marzo per rendere l’Eurozona più resiliente. C’è però una specificazione dei presupposti di un tale intervento: se dovessero persistere gli effetti del calo del petrolio sull’inflazione oppure se risultasse che le tensioni nei mercati impattano sfavorevolmente sulla trasmissione della politica monetaria e se uno solo di questi fattori dovesse comportare rischi per la stabilità dei prezzi, la Bce non esiterà ad agire, in un quadro che evidenzia il rallentamento della crescita globale e nel quale sono le economie emergenti il punto focale dell’incertezza. Per la verità l’osservazione su come giocheranno i predetti fattori potrebbe ben essere supplita dalla considerazione della grande lontananza dell’inflazione dal livello della predetta stabilità e, dunque, dalla sussistenza già ora di un dovere di agire, anche se almeno per il momento non si dice come e con quali quantità. Il rispetto del mandato lo impone. Più facile è dire ciò che gli altri soggetti dovrebbero fare per la ripresa: aumentare gli investimenti e diminuire le tasse, ribadisce Draghi, che ha poi esposto la tradizionale ricetta sull’equilibrio dei bilanci pubblici e sulle riforme di struttura.
Più interessante la parte che riguarda le banche: i loro titoli sono stati colpiti, a livello globale e in Europa, per l’alta sensibilità, sottolineata dal presidente Bce, all’indebolirsi della prospettiva economica; dopodiché la caduta è stata amplificata dalla percezione che le banche potrebbero fare di più per aggiustare il modello di business. Quanto al quadro regolatorio, secondo Draghi, le nuove norme hanno aumentato la resilienza per tutto il settore finanziario. Più in particolare e con riferimento al bail-in, il governatore ha detto che il cambiamento è stato notevole, ma per il meglio, perché così i danari dei contribuenti non saranno utilizzati per intervenire nelle crisi bancarie. Una posizione, quest’ultima, abbastanza anodina, che non affronta il tema della totale carenza di preparazione a una tale innovazione e tanto meno l’ipotesi di un periodo transitorio per la sua piena operatività ovvero, ancora, di una correzione dei punti meno accettabili della riforma. Poi però Draghi ha sottolineato l’impegno a non aumentare significativamente i requisiti di capitale per il settore bancario, stando bene attento ad attribuire la paternità di tale impegno ai capi della supervisione, a caratterizzarlo con l’avverbio sopra riportato e ad aggiungere che ciò avverrà «a situazione invariata». Comunque l’impegno in questione è già qualcosa, considerato come finora la Vigilanza abbia continuato a segnare una netta divergenza dal governo della moneta e come lo stesso abbia fatto una parte della normativa – checché ne dica Draghi – con speciale riguardo proprio al bail-in. Tra le cause dell’attacco ai titoli bancari Draghi ha omesso proprio il deleterio ruolo svolto da questa normativa. Poi ha smentito che sulle cartolarizzazioni delle sofferenze vi sia un negoziato con l’Italia al fine di pervenire al loro acquisto da parte della Bce. Si tratta invece di verificare se le cartolarizzazioni abbiano i requisiti per potere essere accettate come collaterale, cosa ben diversa dall’acquisto. Poi Draghi ha dato una risposta importante sul tema dell’attribuzione di un coefficiente di rischio ai titoli pubblici, ricordando che semmai questo è un problema globale, non potendo essere la sola Europa a introdurre una tale innovazione, aggiungendo che il Comitato di Basilea sta riflettendo a proposito di una prescrizione di Vigilanza su tali titoli. Dunque, un preciso richiamo e un netto caveat, anche se, secondo il costume di Draghi, che non rigetta mai nettamente una proposta, soprattutto se viene dalla Germania, non una chiusura secca, come pure meriterebbe.
In ogni caso, si resisterà fino al 10 marzo, in assenza di decisioni della Bce che sarebbero sin d’ora possibili, senza lasciarsi abbacinare da un miglioramento dei mercati che non segnala (o non segnala ancora) che la tempesta è definitivamente passata? (riproduzione riservata)