la Repubblica, 16 febbraio 2016
La Clasica de Almeria tagliata a 21 chilometri e in caso di burrasca entra in vigore il Weather Control, che prevede uno sforbiciamento della corsa. Che succederà al Giro?
Il ciclismo ha scoperto il senso del limite. La Clasica de Almeria di domenica scorsa passerà alla storia per due motivi. È stata probabilmente la gara in linea più breve di ogni epoca: 21 km, mezz’ora di corsa, il tempo sufficiente a molti corridori per capitombolare a causa del fortissimo vento di burrasca che spazzava la costa spagnola. Per questo motivo, ed è il secondo per il quale la Clasica verrà ricordata, molto al di là della vittoria dell’australiano Howard, in occasione della gara spagnola si è visto applicare per la prima volta, in modo piuttosto rudimentale e quindi migliorabile, l’Extreme Weather Protocol, un nuovo punto del regolamento Uci, introdotto nel 2016, che prevede in caso di condizioni climatiche particolarmente avverse uno sforbiciamento della corsa, o in alternativa la sua cancellazione. Il protocollo mette per iscritto una serie di norme finora suggerite dal buonsenso ma che negli ultimi anni avevano creato non poca confusione. Ad Almeria c’era un vento a 80 km/h, una delle condizioni (le altre sono: pioggia gelata, accumuli di neve sulla strada, temperature estreme, scarsa visibilità, inquinamento atmosferico) perché i corridori, dotati di una voce dopo un secolo di lavori forzati, possano chiedere un intervento agli organizzatori. Il tutto ad Almeria è avvenuto in un clima di inenarrabile confusione. Ma alla fine è andata così: in luogo degli originari 184 km è stato approntato un circuito cittadino da 3,5 da ripetere sette volte, la prima delle quali dietro macchina. 21 km, appunto, di corsa vera.
Il nuovo protocollo cambia un bel po’ di cose. Dà ai corridori un potere contrattuale mai avuto prima. Di fatto però costringe gli organizzatori a ponderare l’imponderabile. «È vero» spiega Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia, «il nuovo regolamento pone la questione delle grandi montagne, quelle oltre i 2500 metri. Immaginarle senza neve, visto il grande cambiamento climatico degli ultimi anni, è dura, quindi noi organizzatori siamo chiamati al rischio e a immaginare sempre un piano B. L’abbiamo sempre fatto, ma ora sarà ancora più importante». Il ciclismo e soprattutto il Giro allora rischiano di perdere, in nome della sicurezza e della tutela dei corridori, una parte della loro mitologia. «La questione esiste – prosegue Vegni – e il prossimo Giro (con Agnello, quota 2748, e Bonette, 2802) sarà un banco di prova molto delicato. Maggio è un mese rischioso, un tempo il Giro si chiudeva anche a metà giugno. Negli ultimi anni abbiamo visto di tutto, tra tappe cancellate, accorciate, neve, gelo. In futuro potremmo porre all’Uci la questione di uno spostamento in avanti. Tra quattro mesi, invece, dovremo solo guardare il cielo e sperare in bene».