la Repubblica, 16 febbraio 2016
Il business delle malattie rare
Un terzo dei farmaci autorizzati quest’anno dalla Fda, l’ente regolatorio americano, è stato studiato per combattere una malattia cosiddetta rara perché affligge poche persone. È un inedito assoluto. Che si conferma in Europa dove il 20 per cento dei medicinali ammessi al mercato risponde ai bisogni di persone fino a oggi immedicate perché colpite da sindromi pochissimo diffuse o da malattie per le quali non c’era terapia. Merito della genetica, che ha consentito di individuare le mutazioni all’origine di condizioni fino a qualche anno fa inspiegabili; e ha portato allo sviluppo di molecole in grado di colpire i meccanismi biologici che si scatenano a seguito di questi errori genetici.
La storia emblematica è quella della fibrosi cistica per la quale oggi esiste una molecola efficace anche se è indicata solo per pazienti che hanno alcune specifiche mutazioni genetiche. A svilupparla è stata una piccola azienda biotech statunitense su impulso dell’associazione che riuniva i genitori e i bambini colpiti da questa patologia: sono passati quasi 20 anni da quando i ricercatori della Vertex Pharmaceuticals hanno cominciato a studiare questa condizione di nicchia, sono stati investiti molti soldi – in parte raccolti dalle associazioni di pazienti – e oggi l’azienda sta ottenendo l’autorizzazione per i suoi farmaci in tutto il mondo. Una storia di successo simile a quella dell’imiglucerasi, principio attivo per la malattia di Gaucher, che in Europa occidentale colpisce una persona su 100mila. Anche in questo caso a cominciare le ricerche, negli anni Ottanta, è stata una piccola realtà biotech, Genzyme, che nel corso degli anni è diventata un’azienda esperta nelle malattie rare, e per questo è stata acquisita dalla multinazionale Sanofi.
Proprio per la vastità del business, non sorprende che dietro i farmaci orfani non ci siano più solo le piccole biotech – in alcuni casi cresciute proprio grazie a questi medicinali – ma anche le grandi aziende farmaceutiche. Perché se è vero che la popolazione di riferimento è esigua è altrettanto vero che il costo dei medicinali spesso è tale che può valere la pena di scommettere su un composto di nicchia: lo dimostra il fatto che, nel 2014, nella classifica dei medicinali che hanno fatturato di più al 48° posto figurava eculuzimab – usato nella terapia di due condizioni rare, la emiglobinuria parossistica e la sindrome emolitico-uremica -, specialità che secondo molti analisti nel 2020 sarà nella top ten.
Ad attirare l’interesse di Big Pharma sulle patologie di nicchia, in realtà, è stato il combinato di informazioni genetiche risolutive e legislazioni favorevoli. Questi medicinali, infatti, godono sia negli Usa sia in Europa di facilitazioni che consentono, per esempio, di poter fare sperimentazioni più semplici e veloci. «Le facilitazioni date alle aziende – commenta Nicola Spinelli Casacchia, presidente dell’Unione delle associazioni di pazienti che si occupano di malattie rare – da un lato certamente vogliono venire incontro al bisogno del malato di poter accedere precocemente a una terapia nuova ed efficace. Dall’altro però la ricerca e la sperimentazione hanno bisogno di un loro tempo per poter dare ragione della reale efficacia di un nuovo medicinale rispetto ai suoi rischi di tossicità. È facile incorrere in abbagli, anche in buona fede, oppure in strumentalizzazioni».
A complicare la scena c’è poi il fatto che la genetica non solo ha permesso di svelare le cause di malattie rare di cui non conoscevamo nulla, ma ha chiarito che anche le patologie che pensavamo di conoscere in realtà sono molto più complesse e variegate. Oggi anche molte forme di cancro, definite da specifiche mutazioni genetiche, sono annoverate fra le malattie rare perché effetti-vamente le mutazioni killer colpiscono molte poche persone. In questo modo però sono centinaia le molecole che ogni anno ricevono la designazione di farmaco orfano. Un trend che sta mettendo in crisi lo sforzo delle Agenzie di favorire la ricerca per malattie davvero rare che altrimenti non avrebbero attirato l’attenzione delle industrie.