la Repubblica, 16 febbraio 2016
Che fine faranno l’identità e la dignità democratica degli europei?
Alle giuste osservazioni di Roberto Saviano sulla natura strutturalmente “antieuropea” che avrebbero la fine di Schengen e la rinascita delle frontiere interne, vorrei aggiungere una inevitabile domanda: in quale misura, e fino a quando, la politica xenofoba (e dunque antieuropea) dei governi di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia può conciliarsi con l’appartenenza all’Unione di quei paesi? Quale club accetterebbe tra i suoi membri chi ne respinge le regole etiche? Se il solo criterio adottato è il pagamento della retta di iscrizione (vedi i rigorosi parametri di bilancio richiesti da inflessibili revisori dei conti), quale prestigio politico, culturale, morale rimane da difendere e da esercitare, dentro quel club? Che politica è una politica che destina tutti i suoi sussulti e tutte le sue energie solamente all’economia? E come ci si può lamentare, poi, dell’ingigantirsi della cosiddetta “antipolitica” (parola spesso usata per definire all’ingrosso quello che non si capisce) se la politica diventa un territorio così ristretto, così gretto?
Si capisce che l’ondata migratoria, né contingente né di basso impatto, sia difficile da gestire. È un problema storico. Ma non era nata per questo – per dare respiro storico e stabilità istituzionale alla cessazione di secoli di guerre fratricide tra europei – l’unità d’Europa? Quando il premier slovacco, violando in una sola frase intere biblioteche del diritto, dice di “tenere sotto controllo ogni singolo musulmano vivente nel nostro territorio”, quanto perde ogni singolo europeo vivente in Europa, in termini di identità e di dignità democratica?