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 2016  febbraio 16 Martedì calendario

La terza guerra mondiale comincia da Damasco

Arabia Saudita e Iran uno scontro per procura
La guerra civile siriana evolve verso il coinvolgimento di più attori statuali: per ora sul terreno agisce solo Damasco, con forze armate potenti e ben armate sul terreno e nei cieli. L’alleato più prezioso di Bashar al Assad è il Cremlino, interessato a ricostruirsi un ruolo in Medio Oriente. Mosca opera massicci bombardamenti aerei e schiera truppe speciali Spetsnaz. Altro sostenitore di Damasco è l’Iran: Teheran si limita ai bombardamenti contro Daesh, il sedicente Stato Islamico, lasciando le operazioni di terra ai miliziani libanesi di Hezbollah. Schierate contro Assad e pronte all’intervento sono Arabia Saudita e Turchia. Ankara ha forze amate efficienti e persegue una sua agenda di potenza regionale ma l’odio per il regime alawita e l’avversione per uno stato curdo, percepito come minaccia all’integrità territoriale turca, ne fanno un alleato poco affidabile nella lotta contro Daesh. Più controverse sono le capacità militari dell’Arabia Saudita: nonostante armamenti modernissimi, le truppe di Riad sono state messe in difficoltà nello Yemen.
Questo suscita dubbi sulla capacità di diventare un punto di riferimento per i Paesi sunniti.
Lo spettro del Califfo che spaventa l’Occidente
Il fronte anti-Damasco è composito: molti gruppi fondamentalisti sono confluiti nel sedicente Stato islamico, ma altri ne sono rimasti fuori, primo fra tutti il fronte Al Nusra, braccio locale di Al Qaeda, che in certe occasioni si è scontrato frontalmente con le truppe di Al Baghdadi, rivendicando l’egemonia della lotta ad Assad. In ballo non c’è solo il potere locale, che sia all’interno di un Califfato o sotto altre forme: ci sono anche i finanziamenti dei Paesi sunniti, del Qatar e del regime saudita prima di tutto. Marginale sembra invece il ruolo dei ribelli cosiddetti “moderati”, ricercati, sostenuti e armati dagli Stati Uniti, ma all’apparenza privi di consistenza e radicamento. Anche dall’altra parte del fronte sono presenti gruppi non statuali: oltre alle milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah, che hanno esperienza militare e sono bene armate, sono presenti anche milizie sciite del sud Iraq.
Peculiare è il ruolo delle milizie curde, decise a combattere lo Stato Islamico ma allo stesso tempo a ribadire la volontà di autonomia. Anche lo schieramento curdo è frammentato: si va dai guerriglieri marxisti del Pkk, radicati in Turchia, ai peshmerga vicini al Pdk, alleati del turco Erdogan.
Stati Uniti e Russia padroni del negoziato
Stati Uniti e Russia, ma anche Arabia Saudita, Turchia, Iran e Unione europea: il numero dei paesi coinvolti negli ultimi round negoziali sulla Siria dice molto dell’importanza di questa crisi. In particolare, il modo in cui da settimane Russia e Stati Uniti stanno negoziando sulla Siria dimostra una cosa: fosse per loro un accordo potrebbe essere trovato. Obama vuole la sostituzione di Assad, ma non vuole il crollo del regime di Assad. Non crede che i ribelli anti-governativi sostenuti da Turchia e Arabia Saudita siano in grado di evitare in Siria un vuoto stile-Libia in cui lo Stato islamico potrebbe allargarsi. La Russia invece vuole che Assad resti al potere.
Nonostante questa differenza di fondo, qualche giorno fa a Monaco è stata raggiunta una tregua temporanea: se i piani negoziati verranno rispettati (De Mistura ieri è volato a Damasco), dovrebbe iniziare entro venerdì. L’esercito di Assad e la Russia dovrebbero rallentare il ritmo degli attacchi. Ma questo non placa Turchia e Arabia Saudita, desiderose di sbarazzarsi di Assad e di imporsi sull’asse sciita (Hezbollah, Iran, in parte Iraq) che sostiene Damasco.
Il fiume dei profughi mette in scacco l’Europa
Dietro alla crisi militare e politica c’è quella umanitaria: secondo gli ultimi report, le vittime della guerra in Siria sono quasi 470mila.
Migliaia di persone soffrono la fame e hanno bisogno di assistenza: entro poche ore l’Onu saprà se potrà far partire i primi convogli umanitari, come stabilito dall’accordo di Monaco. Per far partire i convogli sarà necessario negoziare tregue locali con il governo e con i ribelli.
Se gli aiuti non arriveranno, l’effetto sarà ingrossare il fiume di profughi in fuga verso i confini della Turchia e della Giordania. Con un effetto che avrà delle conseguenze non solo sulla stabilità della regione mediorientale, ma anche sulla stessa saldezza politica dell’Europa.
Alle conseguenze umanitarie, si affiancano quelle politiche, anche queste ben più ampie dei confini siriani: il conflitto ha accelerato lo scontro diretto tra due fronti regionali. Da una parte l’asse sciita Iran, Iraq, Hezbollah libanesi e milizie sciite afgane sotto la protezione della Russia. Dall’altra un’alleanza non omogenea fra Arabia Saudita, Turchia, Emirati, Qatar che però non ha il pieno sostegno degli Usa.