la Repubblica, 16 febbraio 2016
Il futuro della Merkel si decide nei prossimi trenta giorni
I prossimi trenta giorni saranno fondamentali per il futuro politico di Angela Merkel: a deciderlo sarà l’esito del vertice europeo del 18 febbraio. E poi le tre elezioni regionali che il 13 marzo si terranno nel Baden-Wurttemberg, Renania-Palatinato e in Sassonia-Anhalt.
Sul piano europeo la cancelliera dovrà superare le forti resistenze delle altre nazioni del vecchio continente ad accettare una soluzione condivisa e solidale della questione dei profughi. Una soluzione alla quale tra gli altri due alleati chiave di Berlino, la Francia per bocca di Manuel Valls e il primo ministro polacco Beate Szydlo (e con lei tutti i paesi dell’est), hanno opposto un garbatoma netto rifiuto.
Ancora più complicata per il destino politico della Merkel appare la situazione sul piano interno: preoccupata per la crescita di consensi che stando alle ultime indagini demoscopiche sta registrando il movimento della Afd sempre più dichiaratamente su posizioni xenofobe e populiste, la Csu bavarese fedele all’antico principio di Franz Josef Strauss, «nessun partito alla nostra destra», ha dichiarato guerra alla politica della accoglienza decisa dalla Merkel. Per bocca del suo segretario Seehofer ha affermato che oggi la Germania decidendo di non esercitare il suo potere sovrano di controllo dei confini avrebbe minato le basi dello Stato di diritto trasformandosi in un paese «dominato dall’arbitrio». E ha minacciato per questo un ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe per aver il governo di Berlino deciso di «aprire le frontiere» senza aver consultato il Bundestag né tanto meno «il popolo tedesco». E mentre i valori della sua popolarità cadono a picco «come la parete Nord dell’Eiger» la Merkel potrebbe vedere seriamente minacciate le basi del suo governo di grosse Koalition se, come sembra, la Spd dovesse registrare una emorragia di voti a favore della Afd il cui populismo xenofobo sta facendo breccia nei settori più deboli della classe operaia e dei ceto medio-bassi urbani. Una sconfitta elettorale che sarebbe ulteriore conferma della crescente difficoltà, qualcuno parla di declino, della socialdemocrazia tedesca che potrebbe sentirsi obbligata a rivedere tutta la sua strategia politica. A cominciare dalla alleanza di governo con la Cdu.
Eppure Angela Merkel non sembra assolutamente intenzionata a cambiare politica e tira dritto per la sua strada. Ed è proprio questo stoicismo politico, i suoi critici parlano di solipsismo, di cui sta dando prova la cancelliera che pone interrogativi e dubbi ai quali commentatori e diplomatici di mezzo mondo cercano di dare una spiegazione razionale.
Perché questa ostinata convinzione di essere nonostante tutto e tutti nel giusto da parte di colei che per anni aveva con leggendaria cautela governato tenendo sempre d’occhio gli indici di popolarità e le indagini demoscopiche? Quali le ragioni che hanno apparentemente trasformato in una leader politica guidata, per usare la classica formulazione di Max Weber, dall’«etica della convinzione» colei che proprio nei suoi articoli su Repubblica Ulrich Beck, il brillante sociologo tedesco prematuramente scomparso, aveva ironicamente battezzata Merkiavelli per il suo cinico realismo? Certo era già accaduto in passato, come quando nel 2011 dopo la catastrofe alla centrale di Fukushima provocata in Giappone dal terremoto aveva compiuto una repentina e inattesa svolta in tema di energia nucleare, che la Merkel sorprendesse opinione pubblica e forze politiche lasciandosi guidare da un suo convincimento. Ma mai come in questi mesi la Merkel è apparsa tanto sola e isolata e tuttavia decisa a seguire quella che a lei appare la sola via per affrontare un fenomeno, quello di un epocale movimento migratorio, le cui cause solo parzialmente gli europei posso influenzare. Ma le cui conseguenze, invece, se non governate potrebbero segnare i destini d’Europa se è vero quello che sul New York Times ha scritto Ivan Krastev, un analista molto attento a quello che accade nel profondo del vecchio continente, e cioè «che la rivoluzione dei profughi potrebbe provocare una controrivoluzione in Europa». Ci sono dei tornanti della storia nei quali il discrimine che separa l’ottusità dalla determinazione si fa molto sottile rendendo difficile stabilire a priori quello che è assolutamente giusto da quello che è, invece, assolutamente sbagliato. Per questo un grande storico tedesco del passato ha detto che «la storia è il tribunale del mondo».
Solo fra qualche tempo, dunque, sapremo se quella presa dalla Merkel è stata una scelta giusta. O se, invece, un abbaglio imperdonabile. Intanto quanti forse troppo facilmente parlano di, o addirittura sperano in una Merkeldämmerung, in un tramonto della Merkel, farebbero bene a riflettere su quanto ha detto l’ex ministro degli esteri Joschka Fischer che pure in passato è stato duramente critico nei confronti di Angela Merkel: «Tutto sommato non posso darle un voto cattico. I tedeschi potrebbero essere stati governati molto peggio. E se domani non dovesse essere più cancelliera, chi dovrebbe prendere il suo ruolo in Europa?».