MilanoFinanza, 13 febbraio 2016
I Paperoni italiani sono un po’ meno Paperoni
Il fatto che Piazza Affari con un tonfo del 23% e 139 miliardi andati in fumo in un mese e mezzo, sia stata la peggiore borsa d’Europa di certo non è stato un buon viatico. E così i primi cento Paperoni del listino, aprendo il portafoglio, hanno perso un capitale complessivo di oltre 22 miliardi.
Un’amara sorpresa per tanti, ma soprattutto per Leonardo Del Vecchio, il più ricco fra i ricchi. Perché Mr Luxottica, che comunque si conferma al primo posto della classifica dei Paperoni di borsa stilata da MF-Milano Finanza, da gennaio ha visto polverizzarsi un gruzzoletto di 3,7 miliardi. Il suo patrimonio, che comprende le partecipazioni di riferimento e controllo nel gruppo di occhialeria e nell’immobiliare francese Foncière des Régions, oltre alle quote in Generali, Unicredit e nella spac Space2, si è ristretto dai 22,2 miliardi di fine 2015 agli attuali 18,5 milioni (dati calcolati in base alle quotazioni dei titoli alla data del 10 febbraio). Sul suo impero non ha impattato solo la turbolenza finanziaria che ha investito, a più riprese, le borse europee ma ha avuto un peso anche la scelta dell’industriale milanese, di dare il benservito, lo scorso 29 gennaio, al co-ceo Adil Mehboob-Khan, arrivato ai vertici del numero 1 mondiale dell’occhialeria nell’ottobre del 2014 in sostituzione dello storico ad, Andrea Guerra.
Del Vecchio ha ripreso le redini del colosso da 9 miliardi di ricavi dopo il cambio del top management e la decisione di avere un triumvirato al vertice. Ma il suo ritorno – che per la cronaca ha già portato un mega accordo per l’apertura di 57 store a marchio Sunglass Hut con Galeries Lafayette e Bhv Marais in Francia – non è stato apprezzato dal mercato. Dalla chiusura di borsa del 29 gennaio, le azioni del gruppo trevigiano hanno perso oltre il 12% del loro valore, che si è tradotto in una perdita di capitalizzazione di 3,385 miliardi. E questo nonostante il fatto che a inizio gennaio, Del Vecchio ha messo sul piatto quasi 40 milioni per comprare un ulteriore 0,14% e consolidare la presa sul gruppo. L’andamento negativo del titolo Luxottica, accentuatosi a febbraio, ha rappresentato la parte preponderante della diminuzione del patrimonio dell’80enne imprenditore. E sul depauperamento di valore del portafoglio della holding Delfin hanno pesato i cali di Generali – la minusvalenza potenziale è di 160 milioni – e ancora di più l’investimento in Unicredit, che oggi vale 250 milioni in meno.
Ma se Paperon Del Vecchio non ride, gli altri super-ricchi non se la passano certo bene.
Solo Nicola Bulgari, forte di una partecipazione nel colosso Lvmh (legata alla cessione del marchio di famiglia al big del lusso transalpino) ha finora registrato una performance positiva. Minima, +0,56%, ma significativa. E così il suo patrimonio, che ammonta e poco più di 1 miliardo, è in crescita, di 5,7 milioni. Invece, Stefano Pessina, che assieme alla compagna di vita e d’affari Ornella Barra, è al timone del colosso di distribuzione farmaceutica Walgreens Boots Alliance, pur confermandosi il secondo in classifica, ha visto evaporare quasi 2,3 miliardi di valore dal suo tesoretto di azioni, che ammonta comunque sempre a 14,4 miliardi.
Non possono brindare all’inizio di 2016 le famiglie Agnelli, Elkann e Nasi, rappresentate da John Elkann, presidente di Exor e Fca. Nonostante abbiano messo a segno la quotazione più significativa di quest’anno, ossia lo sbarco a Milano della Ferrari, il loro patrimonio ha perso il 40,7% di valore. Che si traduce in una perdita in termini assoluti di 2,14 miliardi. Non per nulla gli Agnelli-Elkann-Nasi sono scivolati dal sesto posto conquistato nell’agosto scorso all’attuale ottavo posto con un tesoretto di 5,35 miliardi. A cosa è dovuto questo brusco stop? Sull’andamento a Piazza Affari di Exor hanno pesato le performance borsistiche dei principali asset, ovvero Fca e Ferrari. Proprio il Cavallino, che ha archiviato il 2015 con ricavi (2,85 miliardi, +3%), utili (290 milioni, +9%) e vendite (7.664 vetture, +6%) boom, ha deluso le aspettative. Da gennaio, il titolo della scuderia di Maranello ha perso il 31,2% sulla borsa milanese, bruciando 2,64 miliardi (a Wall Street le azioni hanno finora perso il 28,3%). Peggio ha fatto, in termini percentuali e assoluti, Fca. Definita la scissione di Ferrari, il titolo Fiat Chrysler Automobiles, continua a battere in testa. Il testacoda sul listino si è tradotto in un calo di valore del 33,3%. E sono finora andati in fumo quasi 3,5 miliardi.
E anche chi, come la famiglia Rocca, capitanata da Gianfelice e Paolo, si concentra da sempre sul core business, in questo caso Tenaris, soffre. Il presidente di Assolombarda e il fratello hanno registrato una perdita di valore del loro patrimonio (6,36 miliardi) di 1,49 miliardi per la flessione del 19% del titolo del gruppo. Anche i fratelli Benetton, solidi al terzo posto tra i Paperoni di Piazza Affari, con le loro storiche attività e le partecipazioni perdono peso: 731 milioni bruciati da inizio anno.
Silvio Berlusconi, dal canto suo, deve fare i conti con il suo impero mediatico che non regala soddisfazioni, almeno a Piazza Affari. Mentre Mediaset si sta espandendo nel business radiofonico e cerca di mettere a regime l’attività pay di Premium, la partecipazione del 41% nel gruppo tv, da gennaio, si è ridotta di valore per 360 milioni. Stessa cosa dicasi per Mondadori, alle prese con l’acquisizione di Rcs Libri: la quota in capo a Fininvest ha perso terreno (-39 milioni). Non aiuta neppure la performance di Banca Mediolanum : -18% da inizio gennaio. La partecipazione della holding (30%), sempre a rischio dimagrimento per la decisione di Banca d’Italia, si sta deprezzando e finora ha perso 350 milioni di valore.
Tra i Paperoni stranieri chi se la passa meglio, al momento, è Emmanuel Besnier. L’imprenditore francese che controlla Parmalat oltre a consolidare a livello internazionale l’attività trova giovamento dell’andamento delle azioni a Piazza Affari: solo -2,6% dall’1 gennaio. Così il suo patrimonio di 3,6 miliardi è stato eroso di poco e lui può scalare la top ten, salendo dal 9° al 7° posto. Vanno peggio le cose all’emiro Khalifa bin Zayed Al Nahayan (patrimonio personale di 21 miliardi di dollari): il fondo Aabar che fa capo all’emirato di Adu Dhabi e ha il 6,5% di Unicredit ha visto andare in fumo 825 milioni, visto che il titolo della banca ha finora perso il 41%.
Peggio stanno andando le cose alla People’s Bank of China del governatore Zhou Xiaochuan. Il giardinetto di partecipazioni nelle principali società italiane da gennaio ha bruciato quasi 1,3 miliardi, ossia il 25% del suo valore. Chissà se questo trend influenzerà le decisioni d’investimento della banca centrale del Paese della Grande muraglia?