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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

È tempo di riscoprire Marinetti

A oltre 70 anni dalla scomparsa di Marinetti, non sarebbe forse ora di riscoprire il pensatore, il poeta, lo scrittore e il drammaturgo? Così ha fatto la Spagna con Unamuno per quanto franchista.
Piero Campomenosi
pierocampomenosi@liberoi.it

Caro Campomenosi,
Quando morì a Bellagio il 2 dicembre del 1944, Filippo Tommaso Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, era già un sopravvissuto. Nei mesi precedenti era stato in Russia con i soldati dell’Armir, aveva scritto qualche testo letterario sulla guerra (fra cui il Quarto d’ora di poesia della X Mas) e ricevuto una croce di guerra al valor militare. Ma era vecchio e malato. Vi erano ancora artisti e scrittori che si definivano futuristi, ma il loro stile era diventato ripetitivo e convenzionale, totalmente privo della vitalità e dell’audacia che avevano entusiasmato e scandalizzato la società europea dopo la pubblicazione del suo Manifesto sulla prima pagina del Figaro, il 20 febbraio 1909. Per molti aspetti la parabola di Marinetti non è molto diversa da quella di Mussolini, a cui rimase fedele anche durante la Repubblica di Salò. Come il caporale dei bersaglieri era diventato Maresciallo dell’Impero, così il poeta di «parole in libertà» e il nemico del «chiaro di luna», era diventato Accademico d’Italia. È certamente vero tuttavia, caro Campomenosi, che i suoi manifesti e alcuni suoi testi teorici sull’arte futurista meritano di essere riletti.
Se Marinetti è pressoché dimenticato, il suo movimento, invece, continua a interessare gli storici della cultura. Il futurismo non fu la prima delle avanguardie artistiche del Novecento, ma fu per qualche anno quella che ebbe il maggiori numero di critici e ammiratori. I maggiori musei non lo hanno dimenticato e le grandi esposizioni dedicate al futurismo sono state dal 2008 almeno tre. La prima, al Centre Pompidou di Parigi dall’ottobre del 2008 al gennaio del 2009, s’intitola «Il futurismo a Parigi, una avanguardia esplosiva» e comprende sezioni dedicate ai pittori italiani, al vorticismo inglese, all’orfismo (nato a Parigi nel 1910) e al cubo-futurismo russo. La seconda, alla Tate Gallery di Londra dal giugno al settembre del 2009, s’intitola semplicemente «Futurism» e segue il movimento, come quella del Centre Pompidou, attraverso le sue diverse incarnazioni europee. La terza, al Museo Guggenheim di New York dal febbraio al settembre 2014, si intitola «Il futurismo italiano 1909-1944» e ha un sottotitolo «ricostruire l’universo» che allude alle più vaste ambizioni ideologiche dei manifesti di Marinetti.