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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

In Sicilia non ci sono quasi più strade

Quando accadrà, perché purtroppo accadrà che qualcuno ritiri fuori il Ponte sullo Stretto, la grande opera che dovrebbe proiettare la Sicilia verso l’Europa, teniamo a mente questa lista. È un elenco – nemmeno completo – dei piloni ardenti e cadenti, delle frane avanzanti, dei giunti allentati, delle voragini che hanno inghiottito le arterie principali dell’isola. Le principali, perché tenere il conto della viabilità generale significherebbe condannare il lettore a interruzioni senza fine, pagine intere di calamità avvenute e consegnate al ricordo.
Seconda avvertenza: nessuno dei blocchi stradali qui citati sono mai stati recuperati strutturalmente. Ripristini parziali, nella migliore delle ipotesi. Guardiamo la cartina della Sicilia da Enna, questa città piccola e dileggiata, martoriata dai cedimenti. Nel 2009, sei anni fa, cede, nel senso che frana, la strada panoramica: teneva unite le due porzioni di città. “Era un’opera inaugurata nel 1962 e considerata un capolavoro italiano dell’ingegneria stradale in muratura”, spiega Giuseppe Amato di Legambiente. Nell’attesa della gara per affidare i lavori ha ceduto, il 1° novembre del 2015, anche il secondo troncone della panoramica. Adesso è tutto fermo, chiuso, morto.
 
Venti cantieri in 200 chilometri
Meglio partire e andare altrove dunque? Decidere di proseguire per Palermo significa ingaggiare una lotta con le deviazioni. Ci sono almeno venti cantieri nei duecento chilometri della A19, l’autostrada che congiungendo il capoluogo a Catania, attraversa la pancia della Sicilia. Quella frana spaventosa che l’anno scorso portò via il viadotto in località Scillato, facendolo adagiare sul costone opposto, è lì che si muove. Prima la cosiddetta trazzera dei grillini – strada d’emergenza finanziata con i fondi che il gruppo del M5S riceve dall’Assemblea regionale – e poi una bretella più strutturata e sicura hanno almeno creato un bypass che non impone l’arresto della marcia. Stessa fortuna, diciamo così, non ha avuto la superstrada veloce che collega Gela a Caltanissetta. Era il 21 maggio del 2009, ed erano appena stati ripresi i lavori di ammodernamento bloccati per 15 anni a causa delle indagini su possibili infiltrazioni mafiose. Quel giorno cede un giunto del viadotto lungo ben 1.480 metri e che corre a circa 90 metri di altezza. Non ci sono morti per fortuna. Ma da allora non c’è nemmeno più la strada.
Sempre a maggio, ma del 2011, crolla una campata di un ponte ferroviario sulla linea Caltagirone-Gela. Da allora niente più treno, si prende il bus. Quel tratto allunga la lista dei binari morti, cessati per cause naturali oppure destinati all’oblio per assenza di manutenzione. E tre anni fa, era il 2 febbraio del 2013, crolla – ricordate? – il viadotto Verdura lungo la statale che da Agrigento conduce a Sciacca. Non ci sono morti neanche in quel caso: un automobilista si accorge per tempo, mette di traverso la sua auto e chiama i soccorsi. Anche lì, come ovunque, un cimitero di iniziative.
Adesso si cammina a corsia unica, il viadotto è stato incerottato in attesa che progetto e finanziamento si trovino, si incontrino e soprattutto vengano affidati a mani esperte e possibilmente pulite.
 
Stringere la carreggiata
A Calascibetta, che è un luogo meraviglioso, un paese magico, e dovrebbe divenire una destinazione obbligata per chi abbia voglia di conoscere i siciliani, smotta un enorme costone di roccia sulla strada che la collega ad Alimena, in provincia di Palermo. È una statale trafficata, essenziale per chi lì abita. È il 2013. Sapete cos’è accaduto da allora? Uno studio di fattibilità e due diverse ipotesi in campo: realizzare il nuovo tratto nelle immediate vicinanze di una necropoli preistorica oppure farlo passare in un campo di grano? Indovinate un po’ cosa è successo? Ci aiuta sempre Giuseppe Amato, dirigente di Legambiente e studioso della mappatura di passi e sottopassi bucati o franati: “Le attività di esproprio del campo di grano si sono inspiegabilmente bloccate. Quindi resta la necropoli, ah ah”.
7 luglio 2014, statale 626 in contrada Putrella di Licata, provincia di Agrigento. Crolla all’improvviso, infartuato e morente, un viadotto per cedimento strutturale. Crac del cemento (alleggerito?). Da allora tutto come prima. Si è semplicemente provveduto a chiudere il viadotto.
Le vergogne non sono finite e la via della riabilitazione dell’Anas, che adesso è guidato da un presidente – bisogna dirlo – intenzionato a ripulire gli ambienti e rinnovare la dirigenza, è ancora lunga. Sprofonda – all’altezza di Mezzojuso – la strada che congiunge Agrigento a Palermo. Metà della carreggiata, inaugurata pochi giorni prima, scompare alla vista. È il 4 gennaio dell’anno scorso. Da allora solo cerotti. Il buco è lì, un by-pass consente la circolazione a passo di lumaca. Nell’età delle frane, e nell’isola che più soffre di incuria, gli smottamenti sono come il cappuccino al bar: un appuntamento quotidiano.
Il 27 maggio del 2015 gli automobilisti si accorgono che il viadotto Cinque Archi, tra i comuni di Santa Caterina Villermosa (Catania) e Villarosa (Enna) si sostiene su pilastri che appaiono paurosamente in balia della corrente del fiume dove sono immersi. Filmano ogni cosa, la notizia corre sui social e arriva in procura. Sopralluogo dell’Anas che spiega che i plinti fanno presa su palificazioni sotterranee. E quindi? E quindi carreggiata ristretta, così il peso si alleggerisce e il pericolo si riduce.
Resta da riferire due ultime frane, ricordando sempre che qui abbiamo sommariamente registrato gli accadimenti occorsi alle arterie principali, avvenute poche settimane fa. A ottobre si interrompe al chilometro 222 la Palermo Agrigento. In tilt la circolazione della Sicilia centro occidentale. Il 29 novembre i carabinieri chiudono un viadotto sulla Palermo-Sciacca. Un pilone paurosamente sbanda e s’inclina. Prontamente l’Anas interviene e rassicura: tutto a posto. Provvede al cerotto, cioè riduce la carreggiata e amen.
Dove eravamo rimasti? Ah sì, al Ponte sullo Stretto…