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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

Quando il pronome diventa una questione di sesso

Cosa succede se un venerdì sera 334 fra linguisti, lessicografi, grammatici ed etimologisti si riuniscono in una sala conferenze gremita per discutere le tendenze lessicali dell’anno? Succede che diventano gli improbabili eroi di una nuova rivoluzione di genere.
È quello che è successo in uno degli hotel Marriott nel centro di Washington, dove alcuni membri dell’American Dialect Society, fondata 127 anni fa per studiare l’inglese parlato in Nordamerica, ha proclamato parola dell’anno per il 2015 il pronome they nella sua accezione di pronome personale neutro singolare. Come nel caso di «They and I went to the store», dove il they non è usato (come di regola) per indicare la terza persona plurale, ma per indicare una persona singolare di cui non viene detto se è maschio o femmina, o come pronome riempitivo in quei contesti in cui l’identità di genere di una persona è ignota.
«Le parole funzionali non sono abbastanza amate», ha commentato un uomo tra il pubblico. (Le parole funzionali sono quelle parole che hanno un significato lessicale limitato ma servono a connettere altre parole.) «Dobbiamo accettare they, e dobbiamo farlo ora», ha gridato un altro linguista. «Come pronome neutro, they è in uso da molto tempo», ha detto Anne Curzan, professoressa di inglese all’Università del Michigan. (Non mancano esempi nelle opere di grandi letterati, come Chaucer e Jane Austen). «Però quest’anno si è prestata attenzione a coloro che lo usano per sottrarsi alla dicotomia di genere». Dicotomia di genere, l’idea, cioè, che esistano due generi distinti, maschile e femminile, senza niente in mezzo. Ma tornando a quello che dice la Curzan, è vero: se abbiamo imparato qualcosa, nell’ultimo anno, da appassionati portavoce del movimento transgender come Caitlin Jenner e Laverne Cox, da Transparent, la serie web prodotta da Amazon e premiata con un Emmy in cui si scopre che il patriarca della famiglia è un transgender, o perfino da Miley Cyrus, che si è dichiarata «pansessuale» o sessualmente fluida, è che la sessualità (con chi vai a letto) e il genere (chi sei quando vai a letto) sono molto più… flessibili. «Penso che tutti noi, in particolare i giovani, vediamo sempre di più il genere non come qualcosa di prestabilito, ma come una scelta; non come una distinzione fra maschio e femmina, ma come uno spettro di possibilità, indipendentemente da quello che c’è “lì sotto”», ha detto Julie Mencher, una psicoterapista di Northampon, nel Massachussets, che conduce dei seminari nelle scuole su come aiutare gli studenti transgender.
Se parliamo della lingua, però, esiste eccome. Lui, lei, maschile, femminile: non c’è molto altro in mezzo. Per questo sta emergendo un nuovo vocabolario: un tentativo di risolvere il problema di come riferirsi a qualcuno che non si definisce né maschio né femmina (e, inevitabilmente, la confusione linguistica che ne deriva).
Di questi tempi, nei campus universitari, dichiarare il proprio pronome di genere è diventato normale, come dichiarare il proprio corso di studi. «È una cosa tipo: “Ciao, mi chiamo Evie. I miei pronomi sono she/her/hers e studio X”, dice Evie Zavidow, studentessa del terzo anno alla Barnard University. Ze (al posto di he e she) è il pronome più usato sul giornalino studentesco della Wesleyan, mentre nei formulari di Harvard si può indicare come pronome di genere E. All’American University abbiamo ey, fra le altre opzioni pubblicate in una guida per gli studenti (insieme alle informazioni su come chiedere quale pronome usare). Ci sono anche
hir, xe; thon (un miscuglio di that e
one) e il titolo onorifico Mx. (si pronuncia, approssimativamente, come «mecs»), un’alternativa a Ms. e Mr. che recentemente è stato aggiunto all’Oxford English Dictionary. Questi sono soltanto i pronomi, ovviamente. Per usarli bisogna avere una conoscenza almeno vaga delle identità a cui corrispondono, a cominciare dalla comprensione della parola «identità» e del suo verbo fratello «identificare» («Mi identifico come femmina», «Mi identifico come di razza mista»).
Identity è stata proclamata il mese scorso «parola dell’anno» in un altro concorso, quello di Dictionary. com: una scelta, secondo la caporedattrice Jane Salomon, che riflette la «crescente consapevolezza» dell’opinione pubblica nei confronti delle nuove espressioni gender (e anche un aumento delle ricerche delle loro definizioni). Fra le parole e i termini che sono stati aggiunti al dizionario per l’anno prossimo ci sono codeswitching (modificare il proprio comportamento per adattarsi a una serie di norme socioculturali differenti), sapiosexual (una persona che trova la caratteristica sessuale più attraente nell’intelligenza) e gender expression (espressione dell’identità di genere). «È come l’iper-individuazione dell’identità», ha detto Micah Fitzerman- Blue, uno degli sceneggiatori e produttori di Transparent, che si definisce un “cisessuale” (abbreviato in cis), nel senso che si identifica con il sesso (maschile) che gli è stato assegnato alla nascita ( assigned at birth, in sigla A.A.B.) «Ci sono troppi pronomi? E chi sono io per sceglierne uno piuttosto che un altro? La lingua è un modo per sbrogliare la matassa».
Ma lo fa davvero? Facebook offre ai nuovi utenti 50 opzioni diverse di identità di genere, compreso il genere fluido (un’identità di genere che varia), il bigenere (appartenente a due generi distinti) e l’agenere (non appartenente a nessun genere). Ci sono asili nido che reclamizzano orgogliosamente la loro politica di pronomi gender-neutral (per non far sentire i bambini imprigionati in un ruolo) e professori universitari messi alla graticola su internet perché li confondono. A New York, le nuove delucidazioni sulle linee guida per i diritti umani diffuse dal Comune chiariscono che l’identificazione erronea intenzionale del nome, pronome o titolo preferito di una persona costituisce una violazione della legge comunale contro le discriminazioni. Sbagliare genere «non è soltanto un errore di stile», ha scritto Caitlin Dewey del Washington Post, «rappresenta un vecchio ostacolo all’accettazione e all’uguaglianza dei transgender, un rifiuto categorico di concedere a queste persone una dignità grammaticale elementare». (Recentemente lo stesso giornale ha annunciato che they sarà incluso nel suo manuale di stile). Eppure la curva di apprendimento rimane. Ho scoperto recentemente che trans*, con un asterisco, ora viene usato come termine onnicomprensivo per designare le identità non-cisessuali. Alla radio ho scoperto che un termine nuovo per «cisessuale» è «cromosomico»: una «femmina cromosomica» è una persona che si identifica con il sesso (femminile) che le è stato assegnato alla nascita. Venendo ai pronomi: they può corrispondere oppure no con queste identità, e la cosa migliore da fare è chiedere semplicemente quale pronome usare. Ma quando chiedete, non fate l’errore comune di definirlo «pronome preferito», perché non è visto come una «preferenza».