il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2016
Qualcuno tenga d’occhio il povero Giovanardi
Chi vuol bene al sen. Carlo Giovanardi è pregato di prestargli ogni cura, assistenza e conforto, perché l’altro giorno l’abbiamo visto davvero provato. La scena – notata peraltro solo da lui e negata dai protagonisti – dei due gay che si baciavano nella tribuna di Palazzo Madama mentre lui e i suoi compari si battevano come leoni per negare i diritti costituzionali alle coppie di fatto, lo ha precipitato in un grave stato non si sa se di eccitazione o di prostrazione che potrebbe portarlo a gesti inconsulti – tipo ragionare – di cui nessuno è in grado di prevedere le conseguenze sulla sua fragile cervice. Sul momento, il nostro è rimasto lucido, per quanto possa esserlo uno come lui: ha denunciato il “gesto premeditato” del bacio, segnalando dunque un’aggravante dell’orrendo delitto che giustificava di per sé l’arresto in flagranza. Purtroppo i commessi del Senato si sono limitati a espellere i due putribondi, lasciandoli a piede libero senza neppure una museruola per scongiurare la prevedibile recidiva. A nulla è valsa l’ulteriore segnalazione sul movente: “contaminare il Parlamento tramite un libro su Mario Mieli, noto sostenitore della pedofilia, pederastia e coprofagia”. Un insano proposito che, anche allo stato embrionale, già mette a dura prova la gracile psiche del senatore.
Pochi lo sanno, ma a dispetto dell’età avanzata (65 anni) e della folta capigliatura pettinata con frangetta a tettoia per ripararlo dalla pioggia, il cranio giovanardico presenta ancora le fontanelle tipiche degli infanti. Basta un niente per deformarlo. Anche accadimenti considerati normali dalla gente comune, come le effusioni fra due innamorati, ma persino la parola “gay” e financo il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, si ripercuotano su quel gracile capino con violenza inaudita. Tutto cominciò un giorno del 1982 quando il giovane Giovanardi entrò in un cinema di Modena convinto di assistere a un film edificante sui balli argentini in Francia: era invece, tragicamente, Ultimo tango a Parigi. Il malcapitato fu ricoverato d’urgenza in stato avanzato di ipossia. E non si riebbe più. Da allora, per dire, non tocca più il burro perché gli blocca la digestione. E nei cinema del Modenese una legge provinciale impone di aggiungere, ai tradizionali “vietato ai minori di 18 anni” e “di 14 anni”, l’espressione “e ai Giovanardi”. Per fortuna non tutto orripila questo chierichetto disordinatamente cresciuto nel corpo di un anziano. Anzi, si può dire che, al di fuori del sesso, egli vanta uno stomaco di ferro che digerisce pure i sassi.
Iscritto alla Dc dal 1969, vi ha visto transitare mafiosi, tangentari, grassatori, cocainomani e tagliaborse senza mai fare un plissè. Parlamentare da 7 legislature, è riuscito a cambiare 7 partiti con la leggiadria di un Brachetti: Dc, Ccd, Udc, Pl (Popolari liberali, sedicente partito da lui stesso fondato), Pdl, Ncd e infine Ppl (Popolari per l’Italia, aderente al gruppo Gal, ma nel sottogruppo Idea, di cui altro non sapremmo dirvi). La prima volta che mise piede alla Camera, nel 1992, cioè in piena Tangentopoli, Giovanardi scrisse una lettera d’amore a Di Pietro per ringraziarlo “per la professionalità ed il senso della misura con cui conduce la difficile inchiesta” e “per la coraggiosa azione Sua e dei Suoi colleghi”, difensori degli onesti “dall’aggressione dei disonesti che col malaffare lucrano ingenti risorse”. Poi scrisse un libro (parola forse un po’ grossa), Storie di straordinaria ingiustizia, per sostenere che tutti i democristiani arrestati e inquisiti erano innocenti perseguitati, come i cristiani nell’antica Roma, anche quelli che confessavano e patteggiavano. Intanto, con fiuto da rabdomante, continuava a scegliere partiti guidati o popolati da noti tangentisti, da FI all’Udc, senz’avvertire altro che olezzo di mughetto. Le mazzette non l’hanno mai scandalizzato, anzi sono una prova di virilità. Un po’ come le violenze delle forze dell’ordine che lui, ex carabiniere, apprezza molto, specie alla Diaz e a Bolzaneto. E pazienza per quei debosciati dei Cucchi e Adrovandi che non se ne sono fatti una ragione, anzi sono morti apposta per consentire ai parenti di farsi pubblicità gratis.
Però, affetto da indignazione retrattile, Giovanardi schiuma di rabbia per le donne che si baciano in pubblico (“come chi fa la pipì per strada”). E per le quote rosa, “inutili e sbagliate” perché notoriamente “alle donne la politica non interessa: infatti alle cene, quando gli uomini ne parlano, le signore si annoiano” e non certo perché gli uomini in questione sono Giovanardi: è perché bramano starsene a casa a lavare i piatti e lavorare all’uncinetto. Purtroppo la legge passa lo stesso, allora lui nel 2006 dichiara guerra all’Olanda: “Fa rivivere la legislazione nazista di Hitler e uccide i bambini malati”, innescando un incidente diplomatico con uno dei pochi paesi che ancora non avevano rotto con l’Italia di B. Nel 2007, stufo delle critiche di Casini a B., il nostro eroe si candida a segretario dell’Udc: prende il 14% dei voti, molti più di quelli che raccoglierà nel 2014 come candidato sindaco di Modena (3,96%, quei pochi che ancora non lo conoscono). Nel 2008 è ministro dei Rapporti col Parlamento, ma solo dopo essersi sincerato che quei rapporti non nascondano malizie o doppisensi contro natura. Poi una sera, a Porta a Porta, confessa finalmente il suo dramma: “Un giorno mia figlia mi disse che era stata in Sudafrica e si era fidanzata con un rasta di colore, forse gay, di certo sposato con un altro uomo. Fu uno choc”. Ecco, anche in famiglia lo vogliono morto. E in quel “forse gay di certo sposato con un altro uomo”, c’è tutto Giovanhard. Stategli vicino.