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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

Belli o brutti, da Porta a Porta ci siamo passati tutti. Tanti auguri al terzo ramo del Parlamento, lì dove i politici vengono persino ascoltati

Probabilmente è stato ieri che avete sentito per l’ultima volta la battuta su Porta a Porta, «il terzo ramo del Parlamento», e probabilmente la prossima sarà domani. Per dovere di copyright va restituita all’autore, Giulio Andreotti, e per dovere storico va ridimensionata perché il talk di Bruno Vespa (che dieci giorni fa ha compiuto vent’anni e fra dieci li festeggia nel luogo deputato: in video) è allo stesso tempo molto meno e molto più di una camera parlamentare. Però, per restare alla filologia della definizione andreottiana, poco meno di un anno fa a Porta a Portaabbiamo visto un ministro, Maurizio Lupi, annunciare le dimissioni non ancora comunicate all’aula di Montecitorio, e nell’aprile del 2004 abbiamo visto il titolare della Farnesina, Franco Frattini, confermare in diretta che l’ostaggio ucciso in Iraq era Fabrizio Quattrocchi, e non lo sapeva nemmeno la famiglia. Ogni santa volta saltano su onorevoli e senatori che, fra lo scocciato e l’ironico, credono di offrire la primizia: «Ormai Porta a Porta è il terzo ramo del Parlamento...».
Da quelle poltroncine bianche – ambite come troni da generazioni di politici e di giornalisti – sono state concesse anteprime assolute su movimenti di truppe, misure economiche, rimpasti di governo. E però il salotto di Raiuno non è stato soltanto complemento del potere legislativo, ma la straordinaria docufiction dell’intera Seconda repubblica: dall’altissimo della notte dopo l’11 settembre al meraviglioso bassissimo delle dispute etiche fra Abano Carrisi e Vladimir Luxuria. E così la definizione di trash che viene applicata al Massimo D’Alema in grembiulino e maniche di camicia che prepara il risotto è davvero riduttiva, perché invece è l’immagine risolutiva di un ventennio: persino un aristocratico diffidente come D’Alema si era piegato alla necessità politica del dopo Mani pulite, quella di rimediare alla sacralità perduta accreditandosi al pubblico come «uno di voi». Basso è bello, basso è onesto, è genuino, è il pop di Umberto Bossi che canta Luna Rossa con Clemente Mastella, è Romano Prodi obbligato a farsi un’intera puntata con a fianco una bicicletta. Ed è naturalmente il sangue che scorre, e il caso impareggiabile è del 2001, con l’estrema sinistra e l’estrema destra che si sfidano a kung fu attraverso le rispettive campionesse: Katia Bellillo e Alessandra Mussolini (a proposito di trash, quante volte Alessandra ha cercato di rivendicare una parentela col povero padrone di casa...), o attraverso la sceneggiata del neocomunista Franco Turigliatto, che finse sorpresa alla vista del fascista Roberto Fiore e se ne andò per evitare un contagio. E dunque, tutto quello che noi siamo – telespettatori di omicidi, fanatici delle diete, credenti col gusto del miracoloso – è passato da lì. Porta a Porta è stata luogo del delitto, palestra per smutandati, succursale di Medjugorje, è stata soprattutto la più efficace delle piazze elettorali, pochi ricordano Giuliano Amato che alla fine del 2000, da presidente del Consiglio, dichiarò davanti a Vespa che avrebbe rinunciato alla leadership della coalizione a beneficio del giovane rampante, Francesco Rutelli (il quale era in aereo, nulla sapeva del beau geste e non stette certo lì a questionare sulla sede della rivelazione).
Il capolavoro celeberrimo è quello di Silvio Berlusconi che nel 2001 firmò il contratto con gli italiani su una scrivania di ciliegio, proprio un contratto fra «tra Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia e della Casa della libertà, e i cittadini italiani»: la sommità dell’aspirazione globale dei leader della Seconda repubblica, stabilire un diretto contatto con gli elettori rendendo superflui i partiti e i loro petulanti colonnelli. Non è stato uno studio televisivo, è stato una finestra sull’Italia, una finestra con vista super panoramica, da lì si è assistito a tutto il sublime e a tutto il ridicolo, da Karol Wojtyla ai Casamonica, da lì sono passati i presidenti Consiglio, dal primo all’ultimo, e da lì hanno parlato migliaia di politici, e si sono persino ascoltati: quello che nei primi due rami del Parlamento non succede più da secoli.