Il Messaggero, 7 febbraio 2016
L’arte della camera da letto secondo i cinesi
«L’arte della camera da letto costituisce il culmine delle emozioni umane, essa racchiude la Via Suprema». Così scriveva un anonimo curatore di una bibliografia erotica cinese risalente a circa duemila anni fa, e cioè alla dinastia Han. Era l’interprete di un genere letterario molto sviluppato in Cina, quello del “manuale del sesso”, che sopravvisse per secoli prima di subire i colpi censori del puritanesimo confuciano e si caratterizzò per l’assenza di quelle “inibizioni sessuali” che tanto hanno condizionato l’Occidente cattolico.
Fu un sinologo e diplomatico olandese, R.H. van Gulik, a introdurre il grande pubblico europeo a questa antica e radicata tradizione della Terra di Mezzo, pubblicando nel 1961 un libro che è diventato un must. Nel ’49 aveva rinvenuto delle matrici xilografiche di un album erotico dell’epoca Ming (1368-1644) e questo lo spinse a uno studio sistematico della storia dell’arte erotica in Cina. Un mondo vivace e rigoglioso nei periodi di progresso e di sviluppo sociale, ma mai volgare o ridotto a mera pornografia nelle illustrazioni che, nella tradizione taoista, accordano le forze positive dello Yin e dello Yang, sapendosi sempre inchinare dinanzi al primo, il principio femminile, riconoscendo alla donna il ruolo di conduttrice del rituale della conquista amorosa.
LA STAGIONE
Ne abbiamo ampia testimonianza nella recente pubblicazione di quattro album di pitture erotiche cinesi, in un libro edito da L’Asino d’oro (Il Palazzo di primavera – Arte ed eros in Cina). Immagini inedite e realizzate in un’epoca compresa tra la dinastia Ming e Quing (che si chiuse nel 1911), 48 pitture su seta che sono esempi tipici e raffinati di Chungong hua (che letteralmente significa “pitture del Palazzo di primavera”, con evidente richiamo alla stagione che più di ogni altra celebra il risveglio dei sensi).
I corpi sono «lineari e quasi inespressivi», nota il sinologo Federico Masini nella prefazione, e «gli organi genitali sono appena magnificati», quasi a voler indicare che tutto si regge sulla «pura attrazione intellettuale». Lui è colto, suona raffinati strumenti musicali e conosce la letteratura; lei tesse il ricamo ed è spesso accompagnata nelle pitture dal fiore di loto, simbolo della purezza intellettuale.
I COLORI
Le immagini delicate, le biblioteche e gli arredi ricercati, i dettagli degli indumenti e degli accessori: tutto riconduce ad ambienti agiati, di accademici o mandarini. Creano l’atmosfera il simbolismo degli oggetti, i movimenti accennati delle vesti, le labbra socchiuse e il colore rosso sempre presente (che come scrive van Gulik rappresenta “il potere creativo, la potenza sessuale, la vita, la luce e la felicità”, contrapposto al bianco che richiama “influenze negative, scarsa potenza sessuale, morte e lutto”), senza trascurare l’elemento feticistico dei piedi fasciati delle donne, che «per essere considerate belle e alla moda dovevano aver piccolissimi, non più lunghi di dieci centimetri», spiega nel suo Mandarini e cortigiane Giuliano Bertuccioli. Ma la passionalità e la carnalità che spesso dominano le scene erotiche giapponesi o indiane non sono nemmeno accennate, in un gioco tra visibile e immaginario che sublima il rito e lo rende algido, distante.
DA NANCHINO
L’origine di questi quattro album è incerta, anche se pare siano stati prodotti nella vivace Nanchino. Quel che è certo è che sono arrivati a noi in modo rocambolesco, sfuggendo allo zelo censorio che proprio con l’ultima dinastia mancese dei Qing fu alimentato dal tornare in auge di rigidi principi moralistici: pare infatti che il loro proprietario avesse coperto ogni singola illustrazione con veline nere di carta di riso che riproducevano componimenti o episodi ispirati alla dottrina confuciana.
IL CAPOLAVORO
Eppure, ironia della sorte, il capolavoro dei “romanzi licenziosi”, il Chin Ping Mei (Fiore di prugno del vaso d’oro), venne sì scritto nel XVI secolo, ma fu ambientato proprio quando era imperante la dottrina confuciana improntata al più stretto rigore, e cioè durante la dinastia Song (960-1279). E, con buona pace del moralismo Qing, una sua edizione del 1630 circa, corredata da oltre 200 xilografie erotiche, ebbe tanto successo da dover essere riprodotta in continuazione fin oltre il 1700.
Luci e ombre, dunque, nella storia della letteratura erotica cinese e del Chungong hua. Fino all’occidentalizzazione dei gusti, in quella Shanghai degli anni Venti e Trenta, nota come la Parigi dell’Est, che arrivò a introdurre nelle immagini elementi estranei alla tradizione come una coppola, dei calzini (grigi o bianchi) o il materasso a molle che andava di gran moda.
Ci penserà poi il maoismo a mettere la parola fine a un genere che sarà bollato come arte minore e decadente, fino alla cieca furia distruttiva della Rivoluzione culturale. Come scrisse George Welles: «Questo è sempre stato il destino dell’energia nei tempi di pace: avvicinarsi all’arte e all’erotismo per poi languire e spegnersi».