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 2016  febbraio 11 Giovedì calendario

I titoli tossici di Deutsche Bank e i danni degli speculatori

Alessandro Plateroti per Il Sole 24 Ore
Dopo settimane di fuoco incrociato contro tutte le banche, è difficile pensare che il rimbalzo di ieri equivalga alla firma di una tregua tra credito e mercati. La tensione resta alta non solo nei confronti delle banche italiane, colpite dai ribassi anche più del dovuto, ma soprattutto verso i colossi bancari internazionali.
La confusione è così alta, che basta poco per declassare frettolosamente in “brocchi” persino i “purosangue”, rischiando poi di sbagliare scommessa: il caso Deutsche Bank ne è la dimostrazione più eclatante.
È bastato far circolare ieri l’indiscrezione su un maxi-riacquisto di obbligazioni senior Deutsche Bank fino a 50 miliardi di euro , non solo per far balzare del 16% le azioni della banca, ma soprattutto per far capire quanto sia facile per la speculazione manipolare i mercati in questi tempi di crisi e di incertezza. E le banche italiane ne sanno qualcosa.
Nel caso Deutsche, la disinformazione ha giocato un ruolo chiave, aiutando gli shortisti di professione a fare profitti creando il caos. Il piano di ristrutturazione annunciato dalla banca è diventato in poco tempo un piano di salvataggio, trascurando non solo il fatto che dietro la Deutsche c’è l’intero sistema politico e finanziario tedesco, ma anche il fatto che nei suoi forzieri sono custoditi oltre 2mila miliardi di euro di asset, peraltro “blindati” da liquidità per più di 200 miliardi. L’apice della confusione è stato poi l’annuncio di 6 miliardi di perdite, primo bilancio chiuso in rosso nella storia di Deutsche Bank: dal 21 gennaio, il titolo è finito nel tritacarne, stritolato da ogni genere di illazione: tra queste, c’è stato persino il rischio di insolvenza sui bond, quindi il default della più importante banca europea Ieri, finalmente, è arrivata la resa dei conti con i furbetti del listino. La prima bordata contro la speculazione l’ha sparata il governo tedesco, riaffermando il ruolo-chiave di Deutsche Bank per la finanza e l’economia nazionale.: tanto è bastato per far volare il titolo, che ha pi spiccato il volo sulle notizie del riacquisto dei bond. E i soldi, come sempre, contano più delle chiacchiere: quale altra banca europea può permettersi di spendere 50 miliardi per ricomprarsi i bond? E anche se la possibilità di una ricapitalizzazione non è da escludere, come ormai per ogni banca europea, quale altra banca può mettere sul piatto dei mercati oltre 220 miliardi di euro in contanti per ogni evenienza? La risposta, ovviamente, è nel rimbalzo del 16% messo a segno dal titolo. Ricomprando bond senior che sono scambiati con uno sconto cosiderevole (circa il 20-25% sul valore nominale), Deutsche farà un favore a chi vuole venderli limitando le perdite , e avrà un profitto superiore ai 6 miliardi di euro. Che altro si può dire?
Forse, vale la pena notare che la strada imboccata da Deutsche è quella aperta di recente proprio dalle banche italiane, le più colpite in borsa dalla sfiducia dei mercati. Unicredit è stat la prima ad avviare il riacquisto dei bond subordinati, seguita poi dal Banco Popolare e da IntesaSanPaolo. Oggi, nel complesso, le banche italiane stanno ricomprando obbligazioni per quasi 10 miliardi.
Il buy back dei bond, insomma, non solo conviene alla banca e piace alla borsa, ma limita anche i danni provocati da crisi e speculazione.

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Rosaria Dimito per Il Messaggero
Pressata da un’ondata di vendite che in quaranta giorni ha bruciato il 40% del valore di Borsa, Deutsche Bank ha deciso di correre ai ripari onde evitare il tracollo. E secondo il Financial Times si appresterebbe a varare un buy back miliardario sui propri bond senior (ne circolano per 53,8 miliardi) nel tentativo di frenare la rovinosa caduta. Sebbene alcuna decisione sia stata ancora assunta dal board dell’istituto, è però probabile che ciò avvenga nei prossimi giorni visto che, a premere in direzione di un intervento drastico, sarebbero la Bce, Bundesbank e Bafin (la Consob tedesca), entrambe allarmate dagli effetti fortemente depressivi sul listino di Francoforte provocati dalla debacle della principale banca tedesca e dai conti poco chiari.
L’operazione di riacquisto riguarderebbe i bond senior (quelli meno rischiosi) e non i cosiddetti Coco-bond, quelli ad alto rendimento perché convertibili in capitale nel caso in cui la patrimonializzazione della banca scenda al di sotto dei livelli regolamentari srep. Di fronte a tale prospettiva, il titolo Deutsche Bank ieri è fortemente rimbalzato, fino a consolidare un guadagno del 10%, che però probabilmente non basterà a rassicurare il mercato. Non a caso è sceso in campo – fatto straordinario – il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, assicurando che «non ci sono timori per la solidità dell’istituto». Nè basteranno le parole di conforto che il co-amministratore delegato della banca, John Cryan, ha indirizzato ai dipendenti chiedendo loro di comunicare «ai clienti che Deutsche Bank resta assolutamente e fondamentalmente solida, data la sua forte posizione in tema di capitale e di rischi». Avverte inoltre Cryan che per alleggerire il peso dei crediti in sofferenza, «molto probabilmente verranno aumentati gli accantonamenti nel corso dell’anno». Dunque, secchiate di ghiaccio su un fuoco ardente.
LIQUIDITÀ NEL MIRINO
E tuttavia, il mercato sa che il problema vero di Deutsche Bank non sono le sofferenze, bensì l’ingente quantità di titoli tossici di cui è gonfio il suo portafoglio, parte dei quali sono lì fin dai tempi di Lehman Brothers. È pur vero che, come sostiene il Financial Times, Deutsche Bank non avrà problemi a lanciare il buy back miliardario – fosse anche dell’entità di 10 miliardi – visto che dichiara riserve liquide per 220 miliardi; è altresì vero che nessun analista è oggi in grado di indicare l’esatto grado di rischio sotto il quale classificare il portafoglio di «terzo livello» della banca tedesca. Queste attività finanziarie, cosiddette appunto di terzo livello (level 3 assets), sono infatti prive di un prezzo di mercato e generalmente valutate dalle banche in modo del tutto arbitrario. Per comprendere il significato di ciò, basti ricordare che nel commentare gli esiti inspiegabilmente punitivi per gli istituti italiani degli stress test elaborati dalla Bce nel 2014, il governatore Ignazio Visco dichiarò: «L’analisi sulle attività finanziarie di terzo livello è stata meno approfondita di quella effettuata per l’attività creditizia, anche in ragione della elevata complessità di queste esposizioni. Gli impatti sul capitale delle banche sono conseguentemente risultati molto più bassi rispetto a quelli derivanti dall’analisi dei crediti». Cioè a dire che si tratta di attività difficili da valutare, quindi non pesano più che tanto sul patrimonio.
Nonostante le difficoltà valutative, c’è però chi una stima di massima di quel rischio, basandosi sui dati ufficiali di bilancio, è riuscito a indicarla. Da un raffronto tra i principali istituti europei elaborato da R&S Mediobanca (si veda l’articolo in basso) emerge con chiarezza che quanto a incidenza del portafoglio titoli tossici sul patrimonio netto tangibile, solo Credit Suisse e Barclays stanno peggio di Deutsche Bank, il cui peso (51%) è di gran lunga superiore a quello denunciato dalle italiane Intesa (17%) e Unicredit (11%).
Deutsche Bank esce da un esercizio 2015 a dir poco disastroso: a fronte di ricavi in caduta del 15%, la perdita provvisoria netta è stata 6,7 miliardi. I cds, la polizza sui rischi di default, ieri sono balzati a 235: in tale contesto sarebbe in atto una fuga di depositi. Per questo Bce, Bundesbank e Bafin hanno acceso un grande faro.