La Stampa, 11 febbraio 2016
Il valletto Garko ci tiene a non passare per valletto
Ormai si è capito come va il Sanremone numero 66: come quello dell’anno scorso. Gli ascolti gli danno ragione, dunque Carlo II rifà Carlo I: buonasera, ecco Tizio, canta Caio, dirige Sempronio, un bell’applauso e avanti il prossimo.
Dunque, seconda serata: inizia la gara dei gggiovani, la Ghenea continua a cambiare abiti e la Raffaele personaggi (ieri Carla Fracci, uguale, da morir dal ridere), gli ospiti Nicole Kidman ed Eros Ramazzotti fanno le loro ospitate promozionali, il compositore Ezio Bosso commuove, dilagano i nastri arcobaleno con i quali l’Ariston vota la Cirinnà, torna perfino il maestro Peppe Vessicchio. Tutto o quasi prevedibilmente sanremese, e del resto l’avrete visto.
Ma c’è il co-conduttore Gabriel Garko. Ora, finora la differenza fra co-conduttore e valletto era rimasta teorica, perché GG si era limitato a sorridere come la Ghenea, solo cambiandosi in maniera meno compulsiva. Poi ieri è stato finalmente utilizzato per qualcos’altro, una gag (tremenda) all’ingresso, un’altra (terribile) con i bambini dell’elementare più piccola d’Italia e un’intervista doppia con Frassica, chiaramente copiata dalle Iene, perché l’originalità non è un ingrediente della cucina di Conti dove, come in quella delle nonne, non si butta via niente.
Lo strano caso
Resta però lo strano caso di questo co-conduttore che sembra proprio un valletto, un valletto uomo, in deroga al canone consolidato e alla sacrosanta tradizionale festivaliera. Per la verità, i sanremologi segnalano che già nel Bonolis I si videro cinque bonazzi sorridenti e semimuti, uno per sera. Ma se ne parlò anche meno di quanto parlavano loro. Garko è più invasivo, e infatti i social ribollono di commenti sulla pettinatura di Garko, sul botox di Garko, sulle risate senza motivo di Garko («Garko laughs!»), sull’italiano di Garko («Ho sceso la scala») e sugli occhiali di Garko, che peraltro sono il vero punto dolente perché, senza, non riesce a leggere il gobbo e, con, a staccare lo sguardo dal gobbo.
È tutto un fiorire di battute: «Le adenoidi di Ramazzotti e gli zigomi di Garko hanno fatto amicizia»; «Pravo e Garko hanno lo stesso chirurgo»; «Kidman parla l’italiano meglio di Garko», e così per centinaia di tweet.
Poi uno va a vedere il curriculum di GG (alias Dario Oliviero, torinese, classe 1972) e scopre che è curiosamente vallettesco anch’esso. Debutto nel rutilante mondo dello spettacolo con la fascia di Mister Settimo Torinese; titolo de «Il + bello d’Italia» (scritto così); calendario di nudo ma artistico e non integrale per Max; nudo forse artistico ma certamente integrale in Senso 45 di Tinto Brass.
Si segnala anche un passaggio teatrale, in Quel che sapeva Maisie, anno 2002, nientemeno che al Piccolo con Ronconi e la Melato, una prestazione così esaltante che Garko a teatro non è tornato più, almeno come attore. Del resto ieri, in conferenza stampa, aveva detto che deve leggere il gobbo perché «non posso certo imparare tutte le canzoni, sarebbe impossibile» e pensare che ci sono dei suoi colleghi che sanno a memoria, mettiamo, l’Amleto, e magari perfino tutto.
Quisquilie. Anche il successo è arrivato al Nostro, «more vallettarum», dalla tivù, con una serie di fiction Mediaset trasherrime dunque meritatamente molto viste: L’onore e il rispetto, Il sangue e la rosa, Il peccato e la vergogna (per la prossima, sarebbe carino La rava e la fava).
Risultato: 523.358 «mi piace» su Facebook e una popolarità indiscutibile e, se sopravviverà a questo Sanremo, anche indistruttibile. Aggiungete una vita privata con insistenti voci di omosessualità, a conferma che questo Sanremone è il più gay-friendly di sempre, e per smentirle fidanzate ostense a mezzo stampa, per lo più colleghe come Manuela Arcuri, Eva Grimaldi o l’attuale Adua Del Vesco (sì, è davvero un nome finto. La signorina nasce Rosalinda Cannavò).
Il finto ingenuo
Ma questi sono dettagli. Dietro l’ingaggio di Garko c’è un astuto calcolo di quel finto ingenuo che è Carlo Conti. Perché è vero che il suo Sanremone si vuole tradizionale e rassicurante, postbaudiano e neodiccì. Ma è anche vero che bisogna immettere nello schema consolidato qualche tocco di novità. Nel ’15, furono le due vallette non vallette, Arisa ed Emma. Quest’anno, Garko. Ed è curiosa, forse perfino coraggiosa questa inversione del gioco delle parti tradizionale: dopo decenni di belle donne in ruoli puramente decorativi, questa volta è l’uomo a star lì a farsi ammirare mentre sorride a vuoto e recapita mazzi di fiori. Dispiace per Garko, che alla fine non risulta nemmeno antipatico nella sua impacciata vacuità. Ma più valletta di lui c’è solo la Ghenea.