Corriere della Sera, 11 febbraio 2016
La leggenda dei fratelli Abbagnale, per chi non la conoscesse
«Amuninne Carmine». E 190 chili di muscoli, timonati da Giuseppe Di Capua sul «due con», si mossero all’unisono verso l’oro di Los Angeles, pesca miracolosa tra le onde del Lake Casitas. È il 1984. Albano e Romina hanno vinto Sanremo, al governo c’è Craxi, Norberto Bobbio e Carlo Bo vengono nominati senatori a vita da Pertini, Sindona entra a Rebibbia, Buscetta fa nomi e cognomi. Eppure qualcosa di nuovo, dall’altra parte del mondo, nell’Olimpiade contro-boicottata dai Paesi del blocco comunista, si muove. Due giganti di Pompei con le mani larghe come remi e i ricci indisciplinati in coppa, figli dell’agricoltore Vincenzo e di sua moglie Virginia, allievi di 0’dottore Giuseppe La Mura – medico generico, maestro della scuola campana e zio —, battono l’equipaggio romeno con una progressione di grande potenza. Sembrano un motoscafo. Sono i fratelli Abbagnale. Amuninne, aveva detto Giuseppe a Carmine. Andiamocene. E se ne sono andati.
La grande tradizione italiana del «due con» – dai pionieri Ercole Olgeni, Giovanni Scatturin, Guido De Filip (Anversa 1920) all’oro di Renzo Sambo, Primo Baran, Bruno Cipolla (Città del Messico 1968) – è rispettata. La leggenda della dinastia Abbagnale, appena cominciata. Giuseppe è il capovoga dell’armo, Carmine (30 mesi più giovane) il prodiere. S’intendono a meraviglia e Peppiniello, sfilato al biscottificio artigianale di famiglia, tocca il timone come un pasticcere la glassa. A Seul ‘88 faranno il bis contro Sir Stephan Redgrave, monumento del canottaggio, più sette titoli mondiali tra l’81 e il ‘91. Poiché a Messigno, quattro chilometri dal santuario della Madonna del Rosario, servono braccia per coltivare la terra a gladioli, nel frattempo sono arrivati Agostino, Maria, Rosaria e Nunzia. O’ dottore trascina verso il mare pure il piccolo di casa Abbagnale, a rabbonire Vincenzo – furibondo – ci pensa Virginia. Le belle medaglie umili di una vita agra nascono così: levataccia alle 5 di mattina, allenamenti a Castellammare, la giardinetta che sgomma carica di nipoti verso la scuola, i pomeriggi tra studio e orto. In questa saga Agostino s’inserisce di prepotenza nel 1985, con l’argento sull’otto azzurro in Belgio. E nel ‘94, con Giuseppe a casa infortunato, al Mondiale di Indianapolis Carmine vincerà l’unica medaglia senza il fratello maggiore.
All’inizio non sanno nuotare, ma il mare impone loro coraggio e disciplina: «Abbiamo scelto il due con perché ci permette di uscire quasi con ogni tempo» confiderà Giuseppe a Gian Piero Galeazzi, il cantore stentoreo dell’epopea. Raccontati oggi, attraverso la lente d’ingrandimento del tempo, i «fratelloni» sembrano reperti archeologici di un’Italia contadina, povera e rispettosa dei ruoli parentali (allo zio La Mura davano rigorosamente del «voi»), con le radici conficcate nella terra e i denti nei carboidrati (pasta e pane), carne poca. Ambiziosi e taciturni. Canottiera e body azzurro. A caccia di medaglie e, giù dall’armo, di lavoro: «Perché il metallo di cui sono fatte non è commestibile». Un’egemonia del remo lunga oltre un decennio, di cui anche il New York Times fu costretto ad occuparsi. Abbagnale’s brothers, from Messigno, Italy.