Corriere della Sera, 11 febbraio 2016
Riforma delle banche, vediamo cosa cambia punto per punto
La riforma delle Bcc, le banche di credito cooperativo, le nuove misure per accelerare il recupero dei crediti. E le norme che traducono l’accordo con Bruxelles per la garanzia dello Stato sulle sofferenze, cioè i crediti difficili da recuperare, che proprio ieri ha avuto il via libera definitivo dall’Unione Europea. Non c’è il capitolo più atteso, e cioè quello sui rimborsi ai risparmiatori che avevano investito nelle obbligazioni subordinate delle quattro banche fallite a novembre (Etruria, Marche, CariFerrara e Carichieti). Ma il decreto legge approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri comprende un corposo pacchetto di misure che, nelle intenzioni del governo, chiude il percorso di riforma del settore, avviato prima con le Popolari e poi le fondazioni. E dovrebbe dare un segnale ai mercati, dopo le pericolose turbolenze degli ultimi giorni.
Le norme sulle Bcc riprendono sol in parte lo schema di autoriforma proposto dal settore. Ci sarà una holding unica, capitale minimo un miliardo di euro, alle quali le singole banche potranno aderire attraverso un patto di coesione. Le banche che non vorranno aderire alle holding potranno uscire dal sistema del credito cooperativo, diventando società per azioni ma a patto che abbiano un capitale minimo di 200 milioni a paghino una tassa del 20%. Sulle sofferenze ci sono interventi sia strutturali come quello sulla bad bank. L’accusa di aiuti di Stato viene superata grazie al fatto che le garanzie potranno essere chieste al Tesoro dalle banche che vogliono cartolarizzare i crediti, a fronte di una commissione a prezzi di mercato. Ma anche congiunturali, come la sospensione per due anni dell’imposta di registro per la vendita dei beni nelle aste giudiziarie. Un piccolo anticipo della riforma del diritto fallimentare, che arriverà nelle prossime settimane.
Holding unica per il riassetto
«Nessuno tocca il credito cooperativo le Bcc sono fuori da questo intervento. Alle BCC chiederemo un progetto di autoriforma». Così il premier Matteo Renzi in conferenza stampa a Palazzo Chigi il 20 gennaio 2015 presentando il decreto sulle banche popolari. Sembra ieri, ma ne è passata di acqua sotto i ponti, soprattutto quelli che volteggiano sull’Arno, perché la Toscana ritorna insistentemente nel risiko bancario di questi ultimi mesi.
Prima con il fragoroso crac aretino di banca Etruria che ha sollevato un vespaio sul governo e ora la questione sollevata dalle Bcc Made in Toscana. Dal Consiglio dei ministri finito a tarda sera arriva una sentenza interlocutoria che lascia insoddisfatto il mondo delle Bcc. Ma facciamo un passo indietro. Riepiloghiamo. Da gennaio scorso il mondo delle 370 Bcc (terzo gruppo bancario con 21% del credito agli artigiani, 18% del credito agli agricoltori e un mutuo su sei erogato alle famiglie italiane) entra in agitazione per trovare coesione intorno a un progetto unico e concorde.
Dopo molte mediazioni interne si arriva al progetto di autoriforma concordato e piaciuto al Ministero dell’Economia e Bankitalia: capogruppo unica e soglia di 1 miliardo al di sotto della quale scatta l’obbligo di aggregarsi. Ecco che rispunta la Toscana, quattro Banche di credito cooperativo rumoreggiano e aprono la breccia. Trasformare le Banche di credito cooperativo in società per azioni, con la possibilità di portare con se un a quota il patrimonio.
La riforma delle Bcc dovrebbe cercare, nelle intenzioni dell’esecutivo, di tenere insieme da un lato l’aspetto finanziario, dall’altro la vicinanza al territorio. Uno dei punti centrali sarà la soluzione del nodo legato alle cosiddette riserve indivisibili. Che varrebbe circa 20 miliardi di euro.
Isidoro Trovato
L’assicurazione sulle sofferenze ma solo per quelle meno rischiose
Ottenuto proprio ieri il via libera formale dalla Commissione europea, la garanzia del Tesoro per favorire lo smobilizzo dei crediti bancari in sofferenza prevista dal decreto è pronta a partire immediatamente. Da subito le banche italiane potranno dunque «impacchettare» i crediti più difficili in nuovi prodotti finanziari (la cosiddetta cartolarizzazione) assistiti da una garanzia pubblica che lo Stato si farà pagare a prezzi di mercato, e venderli. Liberando così il patrimonio di vigilanza che oggi serve a coprire quelle partite dubbie, e usarlo per fornire nuovi finanziamenti a famiglie e imprese. Le sofferenze del sistema bancario italiano ammontano attualmente a 201 miliardi di euro e pesano moltissimo sui bilanci, considerato che almeno 113 miliardi di mezzi patrimoniali sono congelati per puntellarle.
Le garanzie potranno essere chieste al Tesoro dalle banche che vogliono cartolarizzare i crediti, a fronte di una commissione a prezzi di mercato, per evitare che l’operazione potesse configurarsi agli occhi della Ue come un aiuto di Stato, che sarebbe illegittimo. Il governo assumerà un rischio limitato, e in particolare solo sulle emissioni di miglior qualità (tranche «senior»). Secondo il Tesoro la garanzia «faciliterà il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze» e, come ha garantito il ministro Pier Carlo Padoan, «non avrà impatto né sul debito, né sul deficit pubblico». L’operazione dovrebbe essere agevolata anche dall’accorciamento dei tempi del recupero dei crediti, prevista sempre dal decreto banche, e secondo il governo è il naturale complemento della riforma impressa al sistema bancario, prima con l’intervento sulle banche popolari, poi sulle fondazioni di origine bancaria, quindi con l’imminente trasformazione delle banche di credito cooperativo.
M. Sen.
Corsia veloce per le procedure
L’obiettivo del governo è accelerare le procedure concorsuali, che — come ha detto di recente il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, al Corriere della Sera — «è un tema che è connesso con quello della garanzia pubblica sulle cartolarizzazioni che abbiano come sottostante le sofferenze bancarie, perché è chiaro che le sofferenze valgono poco se i tempi di recupero sono lunghi». Attualmente la durata media dei processi civili nei tre gradi di giudizio è di 8 anni e 7 mesi, con 844 giorni per una sentenza di primo grado, 1.061 per l’appello e ben 1.222 giorni per la decisione definitiva della Cassazione, secondo il ministero della Giustizia. Proprio la durata dei processi e la farraginosità del sistema che consente alla banca-creditore di far andare all’asta un bene posto a garanzia (per esempio una casa o un capannone industriale dato in ipoteca) rallentano lo smaltimento delle sofferenze da parte delle banche. Tra le misure che agevolino la valorizzazione dei beni (spesso fortemente svalutati nelle esecuzioni) ci sarebbe la cancellazione dell’imposta di registro per l’acquisto alla aste giudiziarie effettuate entro l’anno a condizione che il bene venga rivenduto entro 24 mesi dall’acquisto. C’è poi sul tavolo dell’esecutivo lo schema di un disegno di legge-delega in materia di diritto fallimentare, sulla base dei lavori della «commissione Rodorf». Lo schema individua diversi profili su cui intervenire, relativi alle procedure di allerta e mediazione, agli accordi di ristrutturazione dei debiti e ai piani attestati di risanamento, ai concordati preventivi, alle liquidazioni giudiziali, fino all’ amministrazione straordinaria. Tra le novità studiate dal governo, il varo di una sorta di «Borsa dei fallimenti» che consenta di acquistare i beni posti in vendita da tutte le procedure concorsuali ed esecutive su un mercato telematico nazionale.
F. Mas.
Un altro decreto per gli arbitrati
Bisognerà aspettare ancora qualche giorno per capire come funzionerà il Fondo di solidarietà da 100 milioni per ristorare i possessori di obbligazioni subordinate bruciati dal crack di Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti. Il governo aveva ipotizzato di regolare i collegi arbitrali e il funzionamento del Fondo con un apposito decreto legge, ma all’ultimo minuto è tornato sullo schema originale: un decreto ministeriale per definire i criteri d’accesso, uno del presidente del Consiglio sugli arbitrati. Al di là della forma, la sostanza non cambia. Quello del Fondo sarà un intervento parziale, che non coprirà tutte le perdite, e limitato a un massimo di 100 mila euro (lo stesso tetto della garanzia sui depositi), ma non precluderà la via del giudice ordinario per l’eventuale riconoscimento dell’intero danno subito.
Il criterio d’accesso sarà legato al grado di correttezza delle banche che hanno venduto ai clienti le obbligazioni. Più opaca e spregiudicata sarà stata la loro azione nei confronti dei clienti, la cui posizione verrà valutata caso per caso dai collegi arbitrali che saranno creati in seno all’Autorità anti corruzione, maggiore sarà per i risparmiatori la possibilità di ottenere il ristoro del Fondo. Per valutare il comportamento delle banche si terrà conto anche dell’età, del livello di istruzione degli investitori e della composizione del loro portafoglio. La dotazione di 100 milioni, messa a disposizione dal Fondo Interbancario, secondo il governo sarà sufficiente a rimborsare gli investitori che verosimilmente sono stati truffati o raggirati dalle banche. Secondo i calcoli del Tesoro i casi di potenziale intervento del Fondo sarebbero poco più di mille, su oltre 12 mila titolari di obbligazioni subordinate delle quattro banche messe in risoluzione dal governo a fine ottobre.
Mario Sensini