La Lettura, 7 febbraio 2016
Ritratto delle quattro sorelle zitelle, figlie di Edward Darley Boit
Se esiste una variabile americana di quella sindrome di Stendhal che fa cadere in trance i visitatori degli Uffizi di Firenze davanti alla Primavera di Botticelli, la Gallery 232 al secondo piano del Museum of Fine Arts di Boston può essere il posto giusto per sperimentarlo. Un grande quadro (un olio su tela di 221,93 x 222,57 centimetri) appoggiato a una parete damascata; due incredibili vasi giapponesi Arita (porcellana bianca e blu) decorati con uccelli in volo; due divani in pelle nera simil Mies van der Rohe sempre occupati (soprattutto da mamme con bambine) e la sperimentazione può cominciare. Per competere con la Primavera ci vuole certo qualcosa di speciale: ma The daughters of Edward Darley Boit di John Singer Sargent (1856-1925, lo scorso 12 gennaio sono appena stati festeggiati i 160 anni della nascita) di «comune» non ha proprio niente. A cominciare dalle quattro sorelle raffigurate, un gruppo di famiglia degno di competere (nevrosi, passioni, manie comprese) con le sei figlie di David Freeman-Mitford barone di Redesdale (Diana la fascista, Jessica la comunista, Unity l’amante di Hitler, Nancy la romanziera, Deborah la duchessa, Pamela l’esperta di pollame); con le Wyndham-Quin sisters di una celebre fotografia di Cecil Beaton degli anni Cinquanta; con Le quattro ragazze Wieselberger (1976) del romanzo di Fausta Cialente; con le protagoniste di Interiors (1978) di Woody Allen.
Florence (1868-1919), Jane (1870-1955), Mary Louisa (1874-1945) e Julia (1878 -1969) non amavano molto Boston e nemmeno la «loro» America. Proprio come i loro genitori: il ricco Edward Darley Boit detto Ned (1840-1915), famiglia wasp con interessi nella finanza, nella coltivazione e nella lavorazione del cotone; l’altrettanto benestante,forse anche di più, Mary Louisa Cushing detta Isa (1846-1894), cospicui affari nella Boston’s China Trade e nel settore immobiliare.
Il gioco delle citazioni e dei rimandi lanciato nella Gallery 232 comincia da qui: dai due grandi vasi, gli stessi che Sargent ha rappresentato nel suo dipinto, collocati ai lati della tela (furono le stesse sorelle a donarli, insieme al quadro). E dai due ritratti di Ned e Isa, ancora di Sargent, che spuntano su un’altra parete della stessa Gallery: il pittore e il ricco bostoniano avrebbero, d’altra parte, condiviso svariate passioni, a cominciare da quella per la pittura tanto da mettere in piedi, agli inizi degli Anni Venti, addirittura una mostra «collettiva» proprio a Boston.
Nonostante avesse a disposizione la «storica» dimora di Jamaica Plan, quel «gruppo di famiglia», molto ricco e molto snob, amava dunque viaggiare. Soprattutto in Europa, soprattutto a Parigi. Il ritratto nasce proprio qui, sulle rive della Senna, nel 1882, nell’appartamento dei Darley Boit, nell’ottavo arrondissement. E vede sullo sfondo come comprimari di lusso, altri esiliati eccellenti della colonia americana di quel periodo come Gertrude Stein (ancora bambina), John Dos Passos o Francis Scott Fitzgerald. All’epoca Florence ha quattordici anni, Jane dodici, Mary Louisa otto, Julia quattro. Ned e Isa chiedono esplicitamente a Sargent qualcosa di eccezionale, un quadro che fosse a metà tra il ritratto e la conversation piece. Il pittore guarda a Degas (a quello della Famiglia Bellelli ) e Las Meninas di Velázquez che aveva visto durante un viaggio a Madrid. E inventa questo Portraits of children (è il titolo originario del quadro) che sarà esposto nel dicembre 1882 nella galleria di Georges Petit.
Quello snob di Henry James, amico sia dei Boit che di Sargent, scriverà qualche anno più tardi (nel 1887) sull’«Harper’s New Monthly Magazine» che il ritratto delle quattro sorelle rappresentava «l’universo felice di un gruppo di bambini pieni di fascino». Chissà se la vita di Florence, Jane, Mary Louisa e Julia sarà stata davvero così o se «quella felicità era solo apparente» come ha raccontato Mary F. Burns nel suo Portraits of an artist del 2014 dedicato proprio a Sargent (su The daughters of Edward Darley Boit Erica E. Hirshlerl, curatrice della collezione americana del Museum of Fine Arts di Boston, ci avrebbe scritto nel 2009 un volume intero).
In fondo tutto resta per loro tranquillo fino al 1894, quando muore la madre Isa. I pellegrinaggi per l’Europa e lontano da Boston (le quattro sorelle non abiteranno mai nella dimora di famiglia di Jamaica Plan) continuano, poi nel 1897 Ned si risposa: con una coetanea di Maria Louisa, che si chiama come un’altra delle sue figlie, Florence, che gli darà due figli maschi e che a sua volta morirà nel 1902. Un inizio degno di un bel dramma di O’Neill (tipo Strano interludio ) o di Quel che sapeva Maisie, forse non a caso proprio di James.
Nessuna di loro si sarebbe mai sposata, ma avrebbero donato il quadro al museo nel 1915, subito dopo la morte del padre (che negli ultimi anni era tornato a dipingere) «per ricordare la sua memoria». Dunque che destino avrebbero avuto le quattro Boit? Florence, sullo sfondo appoggiata con le spalle a uno dei due vasi giapponesi, si sarebbe dedicata al golf, risultando tra i soci fondatori del Newport Golf Club; descritta come donna dai modi bruschi e sbrigativi, avrebbe continuato a snobbare feste, dinner party e propositi di matrimonio; poi con la cugina Pat (una delle prima laureate in biologia al Mit) avrebbe celebrato una sorta di «Boston marriage» tra due ricche zitelle. Accanto a lei di fronte c’è Jane, forse la più instabile delle sorelle, che dopo la morte della madre avrebbe trascorso lunghi soggiorni in clinica per curare depressione e altri disturbi. Ben poco si sa di Mary Louisa (quella a sinistra nel quadro di Sargent) se non che usava lo stesso diminutivo della madre (Isa) e che avrebbe ancora viaggiato e a sua volta «messo in piedi» una sorta di convivenza con la sorella minore Julia, quella seduta sul pavimento (tra le braccia la bambola Popau, chiamata così in onore di un potente politico francese amico di famiglia). Che a sua volta si sarebbe dedicata al disegno, un’amabile dilettante e niente più. Proprio come il padre. Anche lei in qualche modo colpita dalla maledizione di un quadro quasi troppo bello per essere vero.