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 2016  febbraio 07 Domenica calendario

Come si restituisce ai nudi la credibilità. Ce lo spiega Siciliano

Da sempre ho avuto il desiderio di dipingere la figura umana. In pratica da quando, fin da ragazzo, ho scoperto la passione per la pittura, quella stessa passione che mi ha spinto a comprare cataloghi di grandi maestri per tutta la vita. Una passione che è rimasta intatta e che in qualche modo cerco adesso di trasmettere ai ragazzi che seguono i miei corsi all’accademia di New York, anche se non esiste una tecnica specifica per dipingere un nudo piuttosto che una natura morta.
Certo che dipingere il nudo è una sfida incredibile, un tema complicato che impone prima di tutto di riuscire a restituire a quei nudi la credibilità – la credibilità dell’anatomia per esempio e quella del colore della pelle e del peso – e poi anche la credibilità delle dimensioni e delle proporzioni della figura.
D’altra parte la figura umana è uno dei temi classici della pittura, come la natura morta e il paesaggio; è uno degli elementi che caratterizzano l’essere «pittore», professione «corporativa» per definizione, dove ognuno cerca di interpretare in modo personale questi temi. Includendo nella definizione tutto il Novecento, comprese le avanguardie. Il nudo, la natura morta, il paesaggio rimangono tra i temi fondanti della pittura. Per fare alcuni esempi potremmo dire che quelli di Mark Rothko sono strutturalmente paesaggi; come certe figure esplose di Willem de Kooning o Francis Bacon rimangono perfettamente coerenti all’interno di questa lunga tradizione.
Io, in fondo, ho sempre dipinto la figura e il paesaggio, nudi compresi. Che siano donne o uomini, poco importa. Per ora ho dipinto più donne che uomini, ma è stato solo un caso. Perché io ho scelto sempre per un nudo qualcuno che conoscevo, con cui avevo un rapporto. Insomma, preferisco non utilizzare un modello di professione. Piuttosto un amico, anche perché per posare ci vuole pazienza – è un lavoro lunghissimo, che impone sedute estenuanti; io lavoro con ritmi molto lenti. Il mio rapporto con il dipingere è un rapporto privato, di relazioni private con luoghi e persone con cui ho a che fare. Quasi sempre le persone accettano comunque di posare senza grandi problemi, perché alla fine vince la vanità che c’è in ognuno di noi.
I canoni della bellezza classica per me non contano, così come non conta se il mio soggetto sia alto o basso, magro o grasso, biondo o bruno, uomo o donna. Nella mia testa, tra i tanti, ci sono i bellissimi nudi di Lucian Freud, di Egon Schiele e comunque tutta la grande tradizione della pittura, della grande pittura di figura. Ma io mi sento piuttosto come un entomologo che analizza la figura umana in modo scientifico e analitico. Osservo, prendo le distanze, cerco il giusto punto di vista. Non è facile, anzi. Soprattutto quando si lavora con una figura dal vivo, perché dal vivo il corpo umano nudo si presenta con tutte le sue complessità, le sue rotondità, le luci, le ombre. Da un paio d’anni sto facendo un autoritratto nudo, a più riprese, che aspetta ancora di essere finito: d’altra parte all’interno della tradizione, l’autoritratto è un tema che mi sta particolarmente a cuore.
La complessità dello studio sul corpo umano mi impone una disciplina ferrea e un impegno costante e quotidiano che trova le sue radici nell’esercizio del disegno. L’analisi del segno è la base fondante per costruire il proprio vocabolario pittorico. E la complessità del corpo è espressa nei suoi colori, ma è in realtà costituita nelle sue fondamenta attraverso l’analisi del segno su cui fare esplodere tutta la tavolozza pittorica. La pelle non è mai rosa come sembrerebbe, ma i suoi toni possono passare in continuazione al blu e al verde. Perché il corpo è, appunto, una tavolozza: riuscire solo a rappresentarla con credibilità è una sfida enorme, un gioco che non finisce mai.