Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2016
Non c’è nessun caso-Italia. La crisi dei mercati è generalizzata
L’Italia, con i suoi BTp e le sue banche, ieri era uno dei tanti mercati deboli a prendere bastonate e vedere le stelle. È andata male a tutti i Paesi periferici, e nell’Eurozona non se la sono passata bene neanche nel gruppo dei semiperiferici. Un “caso Italia” non c’è stato: tanto è vero che lo spread tra BTp e Bonos spagnoli è rimasto fermo (uno 0,01% di scostamento minimale), legando così i titoli dei due Stati allo stesso destino, il lunedì nero.
Quel che invece si è mosso in maniera diversa dal solito, ieri, è stato l’andamento dei BTp future e dei Bund future. A grandi linee, fino a ieri quando questi due contratti si allargavano, lo facevano mantenendo comunque tra di loro una correlazione: i prezzi scendevano o salivano entrambi, però uno più dell’altro. Ebbene ieri non è andata così, facevano notare i traders con preoccupazione: la correlazione è svanita, il movimento delle due quotazioni questa volta è stato fortemente disconnesso. «Il BTp future e il Bund future sono andati in direzioni opposte, non accadeva da tempo in maniera così marcata, e questo significa che il QE della Bce ora stenta a contrastare la frammentazione», ha sentenziato Peter Chatwell, responsabile della strategia sui tassi europei alla Mizuho.
A tutto si sono aggrappati i mercati, ieri, pur di alzare la posta sul QE, pur di esercitare la massima pressione sulle banche centrali. Mentre il rendimento del BTp risaliva nell’orbita dell’ 1,70% e lo spread con i Bund si allargava fino a tornare brevemente in area 150 (ma è tutto relativo quando messo a confronto con il picco massimo storico nell’era dell’euro dei 575 punti raggiunto nel novembre 2011), sul mercato erano i prossimi interventi delle banche centrali a fomentare il dibattito: la Federal Reserve per alcuni dovrebbe iniziare già da ora a tagliare i tassi e a mettere in cantiere i primi numeri negativi; la Bce taglierà nuovamente i tassi delle deposit facilities, tre volte dello 0,10% per i più arditi, in marzo, in giugno ed entro fine anno per arrivare a -0,60%. Sempre dalla Bce, un QE più aggressivo veniva ritenuto da molti inevitabile, con un aumento degli acquisti mensili di titoli: dagli attuali 60 a 70 miliardi, se non 80 o addirittura 90. «Con 90 miliardi di acquisti mensili vediamo lo spread BTp/Bund chiudere l’anno a 60 punti», ha pronosticato uno strategist londinese, tralasciando il problema della scarsità dei titoli tedeschi in circolazione: per far funzionare il QE europeo serve altro, cancellare il requisito della ripartizione degli acquisti per capital key dei singoli Paesi e aumentare il risk sharing.
Di movimenti estremi, ieri, se ne sono visti. Più illiquido il mercato (quello dei Cds bancari o dei titoli di Stato portoghesi e greci), più forti le oscillazioni, più ripide le cadute. Tra tutti, quello che ha impensierito gli operatori – e fors’anche la Bce viste le dichiarazioni del membro del Board Benoit Coeuré – è stato l’Euribor, il tasso interbancario che le banche applicano sui prestiti tra di loro, per finanziarsi le une con le altre: l’Euribor ha iniziato a “prezzare” una lieve tensione sulla liquidità, dove le banche pagano tassi più alti per finanziarsi. Non è stata l’entità del movimento, quanto il fatto che questo tipo di ritocco su quel tipo di tassi non si vedeva da tempo, da anni. Neppure in questo contesto, c’è stato un caso-Italia. L’arrivo del bail-in, cioè la distribuzione delle perdite eventuali provenienti da un dissesto bancario ripartita tra i creditori privati e non più a carico dello Stato, colpisce tutti indiscriminatamente. In automatico, le obbligazioni subordinate e le obbligazionari senior costeranno di più alle banche. E questa maggior spesa rischia di si ripercuotersi su imprese e famiglie, e quindi sull’economia: proprio quando l’economia stenta, non solo in Italia ma ovunque.