Corriere della Sera, 9 febbraio 2016
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L’estremismo islamico iniziò con la presa di Kabul
Negli anni Settanta, studente, sono andato con un furgone VW e amici da Firenze fino a Quetta in Pakistan, passando per Turchia, Iran, Afghanistan e, appunto, Pakistan: non abbiamo mai avuto il minimo problema e in tutti questi Paesi siamo sempre stati accolti con gentilezza e interesse: oggi non rifarei un simile viaggio neanche su un carro armato di ultima generazione. Lei scrive che le guerre dell’Occidente hanno considerevolmente peggiorato la situazione: che cosa può dirci dei finanziamenti americani alle madrasse oltranziste in Pakistan, nei primissimi anni Ottanta, per contrastare l’invasione sovietica dell’Afghanistan iniziata a fine dicembre ’79? Non è forse da allora che l’estremismo islamico ha iniziato il suo «cursus honorum»?
Paolo Lombardo
Caro Lombardo,
Tutto cominciò effettivamente con l’invasione sovietica dell’Afghanistan alla fine del 1979. Nelle rappresentazioni sommarie della Guerra fredda fu detto che l’Urss si era impadronita dell’Afghanistan per farne un Paese comunista. Non è vero. L’Afghanistan era già, per molti aspetti, un Paese comunista, ma era anche continuamente teatro, al vertice, di sanguinosi regolamenti di conti fra due forze politiche, di cui la prima guardava a Mosca e la seconda a Pechino. In una prospettiva sovietica vi erano quindi almeno tre rischi: la vittoria della fazione cinese, una guerra civile che avrebbe destabilizzato l’intera Asia Centrale, l’apparizione di un terzo incomodo nella forma di un fanatico movimento islamista. Quando il politburo del Comitato centrale, a Mosca, mise l’Afghanistan all’ordine del giorno, il ministro degli Esteri Andrej Gromyko fu tra quelli che vedevano con favore un rapido intervento militare. L’Armata Rossa avrebbe attraversato il confine (2.348 km) con il turbolento vicino meridionale dell’Urss, avrebbe richiamato all’ordine i suoi litigiosi governanti, consolidato il potere del partito satellite e ripreso la via del ritorno.
Le cose andarono diversamente. Nel febbraio del 1980 scoppiò in Afghanistan una insurrezione dietro la quale vi erano i contadini, ambienti conservatori e, ben presto, le milizie islamiche dei mujaheddin. Le forze sovietiche, probabilmente, avrebbero avuto la meglio se la nascita di un movimento di resistenza non avesse permesso agli avversari dell’Urss di coalizzarsi e di combattere insieme una guerra per procura. Nacque così una eterogenea alleanza fra Paesi che avevano spesso buoni motivi per non andare d’accordo, ma erano uniti, in quelle circostanze, dall’esistenza di un nemico comune: Stati Uniti, Cina, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo. Gli Stati Uniti fornirono armi, fra cui i micidiali missili Singer con cui i mujaheddin impararono rapidamente ad abbattere gli elicotteri sovietici; il Pakistan garantì la logistica per i rifornimenti e la formazione di una legione arabo-musulmana composta da circa 35.000 volontari; mentre l’Arabia Saudita, con i suoi generosi finanziamenti, divenne il tesoriere della operazione. Furono i sauditi, caro Lombardo, non gli americani, che finanziarono le scuole coraniche pakistane (madrassa) da cui uscirono più tardi i talebani che avrebbero conquistato il potere a Kabul negli anni Novanta.
Incidentalmente è questo il momento in cui fa la sua prima apparizione l’uomo che dominerà le cronache del nuovo secolo. Quando i sauditi decisero di inviare un emissario in Afghanistan per coordinare gli aiuti del mondo musulmano e sovrintendere alla formazione delle reclute, la scelta cadde su un giovane saudita che poteva contare sulla straordinaria fortuna di un padre imprenditore. Si chiamava Osama bin Laden.