la Repubblica, 7 febbraio 2016
Aleppo e la scelta del Cremlino
Il rischio per Aleppo, la seconda città siriana scossa dalla violenta offensiva russa e lealista, non è solo quello di diventare un’enorme trappola a cielo aperto per le decine di migliaia di persone che tentano, invano, di fuggirvi: la strada verso la Turchia potrebbe essere bloccata dall’avanzata russa e dal rifiuto turco di aprire il confine, producendo una catastrofe che Mosca farebbe ricadere sull’odiata Ankara.
Triste destino quello dell’antica Halab, la più grande fra le città siriane, uno dei primi centri abitati del mondo di cui sia abbia memoria, ancora una volta fondamentale per i destini del paese: se l’attacco guidato dai russi andasse a buon fine, la guerra siriana così come l’abbiamo conosciuta muterebbe definitivamente volto.
E pensare che nel primo anno della rivolta siriana Aleppo era rimasta fuori dal caos: nel suo suq, patrimonio dell’umanità insieme al resto della città, non si erano viste le manifestazioni e le violenze che avevano scosso tante altre città siriane.
Ma nel 2012 la guerra è arrivata, distruggendo monumenti vecchi di migliaia di anni.
Oggi la conquista della città, sin qui divisa tra quartieri controllati dall’opposizione al regime e quelli fedeli a Assad, sarebbe un colpo mortale per l’opposizione, consentendo al regime di estendere il suo controllo in un’area che va da Latakia a Damasco, da Da’ra a Tartus. L’opposizione non legata all’Is sarebbe spazzata via da un centro nevralgico decisivo.
A dimostrazione che, al di là della retorica sulla doppia coalizione, in Siria solo quella russo-iraniana, con le sue appendici libanesi di Hezbollah, ha una precisa strategia politica e militare: guadagnare terreno e poi, semmai, negoziare da posizioni di forza. Eliminando dalla scena non solo le forze jihadiste ma anche quelle che si battono contro Assad. I massicci bombardamenti aerei di questi giorni sono la dimostrazione palese della scelta del Cremlino.