la Repubblica, 8 febbraio 2016
«Draghi non deve mollare, l’acquisto di titoli proceda». Consigli da Bini Smaghi
«L’area euro ha un problema in più: la rivalutazione delle moneta, non solo sul dollaro ma anche contro le valute dei Paesi emergenti. Ciò penalizza la competitività dell’export, già colpito dal rallentamento della Cina e degli stessi Usa. Ma non significa che si deve rinunciare né rallentare il quantitative easing». Lorenzo Bini Smaghi, oggi a capo della Societé Generale, nel board della Bce dal 2005 al 2011, avverte che «l’impatto positivo del qe è stato vanificato. Il cambio effettivo verso la media ponderata delle valute è tornato a un anno e mezzo fa».
Tutto questo è dovuto al voltafaccia della Fed, che ci ha già ripensato sul rialzo dei tassi?
«Direi di sì. Ma il rallentamento dell’economia americana, motivo della frenata sui tassi, è fisiologico per un Paese che cresce ininterrottamente dal 2010 anche a buon passo, e non ha avuto la seconda recessione».
Influiscono i fallimenti nelle compagnie dello shale oil, spiazzate dai ribassi petroliferi?
«In qualche misura, ma non determinante. Questo è un problema finanziario, dovuto ai default delle obbligazioni con cui le compagnie si finanziano. Il trasferimento all’economia reale non è automatico. C’è chi vede una nuova crisi modello-subprime quale detonatore di una reazione a catena. Ma sono diverse le situazioni se non altro perché il mercato allora era inondato dai titoli spazzatura, appunto quelli connessi ai subprime, ora non è così. Comunque c’è da fare attenzione alla quantità di titoli ad alto rischio acquistati per la ricerca di migliori profitti negli anni dei tassi a zero, una tipica controindicazione del Qe. Gli investitori potrebbero venderli in massa a causa delle incertezze esistenti, con forti instabilità sui mercati e l’ampliamento della massa di liquidità inespressa che già oggi ferma gli investimenti, in America come in Europa».
Ora in America il Qe non c’è più, Draghi invece ha indicato che in marzo ne annuncerà un rafforzamento oltre a nuove misure monetarie. Non basta a controbilanciare l’effetto-Fed?
«Solo in parte. I mercati vogliono vedere i fatti».
Sono rimasti scottati dall’esperienza di dicembre quando Draghi deluse le aspettative?
«I mercati vogliono vedere per credere. Non si basano solo sugli annunci. C’è un’altra questione: la domanda di euro è forte perché la maggior parte dei Paesi europei registra un surplus commerciale. Le esportazioni superano le importazioni, e la richiesta di euro (per pagarle, ndr) spinge la moneta. Ecco perché il Qe non basta: ci vogliono misure che facciano crescere la domanda interna, investimenti privati e pubblici e provvedimenti fiscali per stimolarla specie nei Paesi che se lo possono permettere, dove il debito pubblico non è troppo alto».