Il Sole 24 Ore, 5 febbraio 2016
Le banche italiane perdono meno di quelle europee
L’epicentro dello scossone violento che ha investito i titoli bancari, in un mese quello di gennaio tra i più drammatici che la storia recente ricordi è, agli occhi di tutti, l’Italia. Come non riconoscerlo guardando titoli che hanno perso più di un terzo del loro valore di mercato in poco più di 30 giorni? Una profonda crisi di fiducia la cui genesi è legata come tutti sanno al nuovo scenario del bail in europeo.
Meccanismo che ha rimesso in moto tutte le perplessità legate allo smobilizzo, alla velocità del processo e soprattutto ai valori di realizzo (quante minusvalenze?) della montagna di sofferenze che gravano sul sistema bancario italiano. Un obiettivo tutto sommato semplice per chi vuole far soldi (rapidi e veloci) speculando sulle future perdite da mettere a bilancio dalla vendita dei crediti malati delle banche italiane.
Letto così, lo scossone violentissimo e indistinto sui prezzi delle banche italiane (anche quelle che faranno utili crescenti e hanno patrimonio più che adeguato) ha il senso di una scommessa ribassista. Ma guardare solo il piccolo universo di Piazza Affari rischia di dare una visione miope e distorta. Basta allontanarsi un poco e constatare che il malessere del mercato sulle banche non è affare solo italiano. Tutt’altro. La crisi di Borsa, la disaffezione degli investitori verso il mondo del credito è male europeo. Generalizzato, diffuso e soprattutto di vecchia data. Una sorta di allontanamento lento dai titoli delle banche che ha riguardato un po’ tutti.
Ha un che di eclatante la lenta caduta di Deutsche Bank, passata forse in sordina proprio per la sua impercettibile ma costante discesa. Ci ha messo del suo ovviamente di recente la maxi-perdita del 2015 per 6,8 miliardi. Perdita attesa che però da sola non basta a spiegare il deterioramento profondo delle quotazioni. Oggi Deutsche vale poco più di 15 euro, quando l’estate scorsa ne valeva più di 30 e nel 2011 quando l’Italia era bersagliata dai mercati sedeva su 45 euro per azione. Non un crollo ma una lenta agonia. Il problema annoso della grande banca tedesca sono i maxi-costi delle cause legali e dei contenziosi che hanno affossato mano a mano la redditività. Deutsche ancor prima della maxi-perdita del 2015 aveva di fatto perso il 75% dei suoi utili pre-crisi e continua ad avere una leva finanziaria tra le più alte. Non dovrebbe sorprendere ma il colosso tedesco vale per il mercato poco meno del 40% del suo capitale. Tutto sommato il livello delle bistrattate banche popolari italiane dopo il crollo di gennaio.
E che dire delle banche spagnole? Non che il mercato le ami particolarmente: con l’eccezione di Bankinter, che vale una volta e mezza il suo capitale, ha contenuto le perdite al 7% da inizio anno ed è reduce da un +140% a 3 anni, le altre banche quotano tutte sotto il valore del capitale e hanno accumulato perdite notevoli. Il Santander è sotto del 24% da inizio 2016 e del 44% a un anno. Bbva fa -18% a gennaio e -31% a un anno. Il Banco Popular vale solo il 50% del patrimonio ed è crollato del 45% in 12 mesi e del 35% a 3 anni. Eppure le banche spagnole hanno avuto la loro bad bank finanziata con oltre 45 miliardi di soldi pubblici che ha liberato i bilanci dalle sofferenze ben più ampie del sistema italiano.
Non che le banche francesi brillino. Bnp e SocGen, i due colossi transalpini, sono in discesa costante. A gennaio hanno perso entrambe un quarto del loro valore; a un anno tra il 16 e il 18% e sono negative anche a 3 anni.
Se il crollo di gennaio è stato più forte per le banche italiane per l’Europa in generale il declino è meno intenso ma più accentuato nel tempo. Fanno eccezione le banche fuori dall’euro come le baltiche che hanno tenuto e hanno valori che superano il capitale.
Non così le inglesi che pur fuori dall’euro sono state vendute a piene mani dagli investitori: Hsbc, Rbs e Barclays hanno subito i rovesci di gennaio e hanno visto scendere il loro valore di oltre un terzo sia a un anno che a 3 anni. Caso emblematico è quello di Royal Bank of Scotland: è attesa al primo utile nel 2015 dopo che ha prodotto per sette anni consecutivi, dal 2008 al 2014, perdite per oltre 45 miliardi di sterline. Una sola banca inglese ha accumulato più perdite dell’intero sistema bancario italiano negli ultimi anni.
Vista così la questione prende un’altra piega. Vero che per le banche italiane la spada di Damocle sono le sofferenze sui crediti e relativi accantonamenti, ma è altrettanto vero che altri sistemi bancari, quelli di stampo anglosassone in particolare, hanno i loro grattacapi. Non hanno le svalutazioni sui crediti delle italiane (fanno molto meno credito all’economia reale) ma hanno le svalutazioni sui titoli, sui derivati di cui sono piene e soprattutto, Deutsche e Rbs insegnano, sono afflitte dagli accantonamenti per le cause legali tipiche della turbo-finanza malata. Le manipolazioni sul Libor, sui cambi, le cause sui mutui subprime e i prodotti tossici sono le fonti di svalutazioni che comprimono la redditività delle grandi banche europee. A titolo di esempio gli analisti di Credit Suisse stimano per Deutsche Bank in oltre 5 miliardi le future perdite per cause legali non coperte dalle riserve. Valgono quasi il 10% del capitale della banca. Troppo rischio, pensa il mercato, per un rendimento sul capitale che per alcune grandi banche vale solo il 5-6%. Lontano anni luce dai ritorni stellari pre-crisi. Forse si spiega così il malessere del mercato per le big bank europee.