Corriere della Sera, 5 febbraio 2016
L’arbitro di Lazio-Napoli fa sapere che la partita è finita solo per ordine della Questura. Lui, dopo i cori razzisti, l’avrebbe chiusa lì
«Durante la sospensione di 3’40” veniva effettuato l’annuncio dello speaker. Prima di far riprendere la gara – recita il rapporto – avvisavo il responsabile dell’ordine pubblico che avrei ripreso il gioco e che da quel minuto alla fine della gara avrei atteso sue indicazioni in ordine all’eventuale sospensione definitiva. Al minuto 24 e 50 secondi riprendevo il gioco da quel punto fino a fine partita, tramite il Quarto Ufficiale di gara, ricevevo l’indicazione dal Responsabile dell’Ordine Pubblico di far proseguire la gara nonostante in alcune occasioni i cori fossero proseguiti». Se non fosse stato per l’uomo della Questura, Irrati avrebbe fatto finire Lazio-Napoli al 68’, al secondo stop per i cori razzisti diretti al difensore del Napoli Kalidou Koulibaly. Che, refertati sia dall’arbitro sia dalla Procura federale, ieri hanno prodotto le sanzioni del Giudice sportivo: curva Nord chiusa per due giornate, distinti Nord chiusi per un turno e alla Lazio società 65 mila euro di multa (di cui 15 mila per il «Vesuvio lavali col fuoco»: discriminazione territoriale). La differenza tra settori sta nella recidiva che pendeva solo sulla curva: la Nord laziale era stata già sanzionata per ululati razzisti rivolti in Lazio-Genoa del 10 febbraio 2015 agli allora genoani Niang ed Edenilson, e la pena, congelata con un anno di sospensiva, è stata cumulata a quella di un turno stabilita ieri da Tosel.
«Brutti cori» li ha definiti lo stesso Koulibaly sul profilo Instagram allegando i ringraziamenti diretti a chi gli ha mostrato solidarietà: «Sono grato anche ai miei colleghi della Lazio e soprattutto all’arbitro Irrati, per il suo coraggio». I tifosi napoletani, nella notte, hanno issato uno striscione a Castel Volturno («Onore al tuo colore K2, vero lottatore») mentre i giocatori della Lazio, Keita e Onazi che sono di colore, sostenevano Koulibaly in risposta ai buu dei loro tifosi. «Normali», però, non ultrà.
Perché in effetti il sillogismo ultrà-buu-curva chiusa stavolta non fila: da tempo il tifo laziale organizzato (e pure quello romanista) non entra nell’Olimpico in segno di protesta. E questo porta a un’ipotesi inquietante: che l’ondata razzista abbia esondato dai soliti argini allagando tutto lo stadio. Tesi che non convince Malagò, presidente del Coni: «Credo sia una forma, assolutamente non giustificabile, di protesta, non so se verso la squadra o la società».