Corriere della Sera, 5 febbraio 2016
Mike Bongiorno raccontato dal figlio Michele: «Era un vero patriarca»
«Se farete tv, per carità non fate mai gli snob». Questa raccomandazione Mike Bongiorno la ripeteva spesso ai figli, che se la sono ben piantata in testa. A cominciare da Michele (43 anni), il più grande dei tre, che però non fa esattamente lo stesso mestiere del padre, ma il produttore documentarista. «Qualcosa di diverso da lui dovevo pur farlo – commenta ironico —. Avere un padre come Mike Bongiorno è un’eredità ingombrante. Lui non ci ha mai aiutato nel lavoro, per quella sua vecchia impostazione americana secondo cui bisogna farsi da soli. Non mi dava neanche consigli specifici, tranne delle indicazioni basilari. Quella appunto che la tv è un mezzo che si rivolge al grande pubblico, quindi non bisogna fare gli intellettuali con la puzza sotto il naso. I programmi, soprattutto per la generalista, devono essere divulgativi e mai di nicchia, non solo per l’audience, ma proprio per rispetto a un pubblico vasto e variegato».
Un’eredità pesante che condivide con i fratelli Nicolò (39 anni), che fa il regista, e Leonardo (26), «il cucciolo di casa» come lo definisce lui, che si è appena laureato in economia alla Bocconi. Una fatica il dimostrare di essere all’altezza, ma anche un privilegio. «Orgoglioso del cognome che porto, e questo è un privilegio. Non è vero, però, che essere “figli di” ti apra le porte del successo. A me non è andata così e i traguardi che ho raggiunto me li sono guadagnati. Semmai ho dovuto sempre dimostrare qualcosa in più degli altri, e in questo senso un po’ di fatica c’è stata, ma piacevole».
Nel settembre scorso Milano gli ha intitolato una strada «e giustamente – continua Michele – nella descrizione del personaggio è stato semplicemente scritto “artista”. Papà era un artista, ha fatto anche l’attore e a suo modo recitava il ruolo di presentatore. Si è divertito a recitare anche con Fiorello negli ultimi tempi a “Viva Radio 2”. Una volta, per rendere più divertente la sua gag con lo showman, si inventò di avere una fattoria di animali e mi chiese di accompagnarlo a registrare i versi di mucche e pecore in vere stalle montanare: eravamo in Svizzera e non vi dico la faccia dei contadini che ci guardavano stralunati».
Un uomo antico
Questo il Mike personaggio pubblico. E quello privato che padre era? «Assolutamente assente. Noi lo vedevamo più in tv che a casa e per fortuna che nostra madre, invece, è sempre stata molto presente. Ma papà era un uomo del ‘900, gli uomini come lui, pur essendo devoti alla famiglia, non erano casalinghi, non avevano l’attaccamento fisico ai figli. Molto diversi da noi padri di oggi più coinvolti nell’andamento domestico. Lui era il classico patriarca: ci ha trasmesso dei valori morali fondamentali: la serietà nei rapporti umani e lavorativi, l’umiltà, l’impegno nello sport, il rispetto del prossimo... Sì, era assente, ma la sua presenza l’ho avvertita in modo costante».
Assente nella routine quotidiana, ma presente durante le vacanze: «Ricordo con lui dei viaggi straordinari negli Stati Uniti, suo Paese di nascita per il quale nutriva un amore sperticato. E lì lo vedevo in una veste diversa. Mi stupivo quando faceva rafting nel Grand Canyon, a cavallo nel Wyoming o quando la sera lo vedevo dormire nel sacco a pelo: si trasformava. Quando però ci fermavamo a New York e tutti noi, la mattina, eravamo già pronti per uscire e andare in giro, lui restava piantato davanti alla televisione, scorreva tutti i canali per scoprire qualche nuovo format, qualche idea da portare in Italia. Non a caso è stato il primo a capire le potenzialità della tv commerciale».
Tutti pregi. Nessun difetto? «Era una persona egoista, ma uso questo aggettivo non nella comune accezione. Per il lavoro che faceva, doveva essere molto concentrato su se stesso e ciò comportava qualche problema in casa, perché se sei concentrato su di te non ti accorgi di quel che ti accade intorno». Ma il momento più difficile in famiglia è stato vissuto dopo la sua scomparsa con il trafugamento della bara: «Un incubo, sembrava quasi di essere in un film poliziesco. Poi finalmente il ritrovamento, ma il momento più duro è stato celebrare nuovamente le esequie: un conto è farlo quando una persona cara è mancata da poco, un conto è ripeterlo dopo un anno, lo rifai a freddo ed è tutt’altra cosa».
La vendita all’asta dei suoi cimeli, a scopo di beneficenza, è stato un altro momento caldo di ricordi: «Lo abbiamo fatto con la Fondazione che porta il suo nome che è stata fortemente voluta da mia madre. In 85 anni di vita papà aveva collezionato talmente tanti trofei, che ci piaceva l’idea di condividerli con il suo pubblico che gli era affezionato. In casa però ne abbiamo ancora tanti».
Porte in faccia
Michele ha scelto un altro mestiere anche perché l’epoca televisiva di Mike è tramontata: «Un tempo non c’erano tutti i canali, le piattaforme, le offerte Internet che ci sono ora. Un tempo si aspettava lo spettacolo serale in tv, oggi lo spettacolo è molto improvvisato, nulla a che fare con la professionalità del passato». A cosa si riferisce in particolare? «I reality non mi piacciono, ma funzionano commercialmente. Il popolino dice: “anche io ora posso andare sullo schermo ed esibirmi”. Ma con quale preparazione? Sai cantare? Sai ballare? Sai recitare? Non sanno fare nulla, però pensano di poter fare spettacolo». Il suo docu-film «Swinging Roma», presentato alla Festa del Cinema di Roma, è stato poi trasmesso da Sky Arte: «Da milanese innamorato della Capitale, ho raccontato i fasti della Hollywood sul Tevere anni 60. Come un mio precedente film sui reduci dell’esercito italiano in missione in Afghanistan, avevo proposto la trasmissione alle reti generaliste per raggiungere un pubblico più vasto, ma sia Rai, sia Mediaset hanno rifiutato». Non basta, insomma, essere figli di Mike Bongiorno perché si spalanchino le porte del successo: «Le porte spalancate? Io le ho avute sbattute in faccia».