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 2016  febbraio 03 Mercoledì calendario

La Cina ora sembra fare sul serio col pallone

Sempre più soldi, sponsor e acquisti di stagione, piuttosto che stagionati, e materia di Stato. Ecco perché il calcio in Cina sta diventando una cosa seria. Nei numeri che confermano spese in costante ascesa, nelle politiche di potenziamento strutturale e nei numerosi arrivi di giocatori non più sbarcati per svernare. Le crescenti mire espansionistiche dei club della Chinese Super League e della China League One, prima e seconda divisione, si misurano con gli scontrini degli ultimi mercati: 100 milioni investiti nel 2014, 170 nel 2015 e addirittura 250 nella sessione attuale che fino al 26 febbraio (anche se le liste per la Champions chiudono il 13) promette fuochi d’artificio e assalti a gente come Lavezzi e Falcao. Cifre così importanti da condurre, già un anno fa, la Cina al 6° posto nella classifica dei Paesi più spendaccioni nell’acquisto di calciatori e da portare la Super League a far girare cifre simili alla Premier League e la League One ai livelli della Bundesliga.
Spesa in Corea e Brasile
Il salto di qualità è nella qualità, e anche nella quantità, degli arrivi. Prima, tranne poche eccezioni o follie rappresentate dai 10,6 milioni a stagione strappati nel 2011 da Conca al Guangzhou, erano campioni considerati a fine corsa, come Drogba e Anelka, che dopo pochi mesi scappavano a gambe levate. Adesso sono giocatori di nome e non ancora trentenni: Ramires, dal Chelsea al Jiangsu per 28 milioni; Gervinho, dalla Roma all’Hebei per 19; Guarin, dall’Inter allo Shanghai per 12. Il cambio di rotta risiede anche nella provenienza: non più solo dai circuiti secondari del mercato europeo, ma anche dai principali, dalla vecchia potenza dominante del calcio asiatico Corea del Sud (pescando soprattutto nei vivai) e dal Brasile, una delle boutique razziate sempre più spesso dallo shopping cinese. Come dimostra il Corinthians, depredato subito dopo la vittoria nell’ultimo Brasileirao, con Ralf e Renato Augusto impacchettati per 23 milioni complessivi al Beijing Guoan di Zaccheroni, il nazionale Gil venduto al Taishan Shandong e il centrocampista Jadson finito al Tianjin. Meglio segnarsi questo nome, perché il Tianjin Quanjian, squadra di seconda divisione gestita dall’ex ct del Brasile Luxemburgo, ha fatto le cose in grande: 41 milioni spesi per regalarsi anche Luis Fabiano dal San Paolo, la stellina Geuvanio (costata 11) dal Santos e tentare la scalata alla serie superiore.
Investimenti e idee
Tutto merito dell’entrata in scena delle maggiori aziende del Paese, dell’interesse del governo e della vittoria del Guanghzou di Lippi nella Champions asiatica del 2013. Addio al vecchio modello di calcio sconquassato dalla corruzione e dagli umori dei proprietari dei club, inizio di un’era nel segno di ricchi accordi di sponsorizzazione, incentivi economici e investimenti delle compagnie statali nei club. Un ribaltone orchestrato direttamente dal presidente Xi Jinping, così appassionato di calcio da includere l’Academy del Manchester City, con tanto di foto ricordo con Aguero, nella sua prima visita ufficiale in Inghilterra. Autore, non a caso, di un pubblico piano decennale per la produzione di 15mila calciatori in più all’anno, l’inserimento del calcio nei percorsi scolastici, la costruzione di 50mila campi in tutto il Paese e la candidatura a ospitare un’edizione dei Mondiali. Nuove forme di statalismo, solo calcistico, crescono.