Libero, 3 febbraio 2016
La difficoltà di spiegare a certi vecchi giornalisti che la mafia è cambiata, non è più quella dei galeotti rincoglioniti tipo Riina e Provenzano
La mafia non esiste più: non per come l’abbiamo sempre immaginata. Esiste una criminalità organizzata transregionale (quella siciliana non è neppure la più forte) e soprattutto transnazionale, ma questo è ovvio, quella ci sarà sempre. Ecco perché il titolo «Cosa Nostra ha indossato la maschera e fa più paura che al tempo delle stragi» (Repubblica di ieri) è un titolo scemo e soprattutto ingannatore, anche perché tra una mafia stragista e una non stragista – non so voi – io ho ancora più paura della prima. Attilio Bolzoni, mafiologo di vecchia scuola (ma vecchia proprio), ha scritto che «fino a ieri eravamo sostanzialmente fermi alla fotografia di Capaci e delle bombe» (sarà stato fermo lui, forse) e che «dietro il linguaggio burocratico della Dia s’intuisce uno scarto che spazza via un fermo immagine» (fermo per lui, forse) e insomma, alleluja: forse si sono accorti che tutti i capi storici (tranne uno) sono stati catturati, immensi patrimoni sequestrati o confiscati, i fiancheggiatori decimati, stragi e ammazzamenti non ce ne sono più neanche a Palermo, il racket cala e cittadini e imprenditori collaborano. Questa era la mafia, e questa è finita. E il problema non è tanto spiegarlo a vari Di Matteo che inseguono fantasmi del passato, inventano link col presente e tirano in ballo vecchi rincoglioniti galeotti tipo Riina e Provenzano: il problema, forse, è spiegarlo a tanti giornalisti che non hanno più niente da vendere.