la Repubblica, 3 febbraio 2016
Se ha perso, perché Sanders parla da trionfatore?
Non sarà un’incoronazione dinastica la sua, non sarà una marcia trionfale verso la nomination. Il 2016 si preannuncia per la First Lady ed ex segretario di Stato come una gara a ostacoli, con una base democratica che apprezza la sua competenza ma diffida dei suoi legami con l’establishment e con Wall Street. A guidare questa “insurgency”, insurrezione del popolo di sinistra, è l’improbabile senatore del Vermont Bernie Sanders, di 5 anni più anziano di Hillary, privo come lei di carisma, tuttavia amato e rispettato soprattutto dai giovani per la sua coerenza e la sua integrità morale.Le primarie dell’Iowa nel formato assembleare e partecipativo del “caucus” offrono le prime sorprese nella corsa per la nomination all’elezione presidenziale, anche grazie ad una forte affluenza di elettori. I sondaggi della vigilia vengono smentiti. Tra i democratici la Clinton era partita all’inizio della campagna con un vantaggio che sembrava incolmabile, l’estate scorsa nell’Iowa aveva un margine di 40 punti sull’inseguitore. Dopo una spettacolare rimonta di Sanders, alla vigilia del caucus Hillary conservava un margine di 5 punti. Alla fine soffre l’umiliazione di un quasi-pareggio, 49,9% contro 49,6%, solo per una manciata di voti lei conquista un delegato in più di Sanders, che contesta lo spoglio e chiede una riconta. Ma il bottino dei delegati non è importante, l’Iowa è un piccolo Stato che elegge solo l’1% del totale nazionale. Come primo test di una lunga stagione di primarie l’Iowa dice che i giochi sono molto aperti tra i democratici.Significativo è il tono dei commenti dei due protagonisti. «Grazie Iowa, stasera tiro un sospiro di sollievo», ammette la Clinton, che cerca di trovare il lato positivo della sfida serrata: «Una gara così strenua ci fa bene, ci costringe ad essere migliori». È Sanders ad avere il linguaggio del vincitore, parla di «pareggio virtuale», ricorda di aver condotto «una campagna senza grandi mezzi, senza ricchi finanziatori alle spalle, con un tremendo handicap di partenza».La prossima tappa dovrebbe essergli favorevole: martedì si vota nel New Hampshire, uno Stato del New England dove la base democratica è molto liberal. Là i sondaggi assegnano il vantaggio a Sanders. Per la Clinton la geografia diventa più favorevole a metà febbraio quando si tengono primarie nel Nevada e South Carolina, dove ci sono più ispanici e afroamericani, due constituency che l’ex segretario di Stato e suo marito Bill coltivano da decenni. Ma i calcoli fatti a freddo possono subire improvvise smentite: anche nell’Iowa la macchina elettorale dei Clinton sembrava formidabile, capillare e professionale. L’incubo per Hillary è un bis del 2008, quando la sua candidatura partì con incollato l’aggettivo “ineluttabile”, per poi infrangersi contro il “fenomeno” Barack Obama.Può scoppiare un “fenomeno” Sanders, oggi? Il senatore del Vermont avendo 74 anni potrebbe essere il padre di Obama. Come candidato anti-establishment è singolare: fa politica da una vita, è un veterano del Senato di Washington. Ma verso Sanders convergono forze della società civile, movimenti che vogliono cambiare la fisionomia del partito democratico. Tra i suoi sostenitori c’è MoveOn, l’organizzazione “digitale” nata a Berkeley nel 1999 proprio in reazione agli scandali dell’èra (Bill) Clinton, per rilanciare la partecipazione dal basso. A preparare la candidatura Sanders ha contribuito Occupy Wall Street, il movimento esploso dopo la crisi del 2008 per contestare le diseguaglianze; e BlackLivesMatter, la più recente mobilitazione contro le violenze razziste della polizia. L’insurrezione della sinistra di base si ripete da un ciclo elettorale all’altro: sostenne Howard Dean nel 2004 (fu John Kerry a vincere la nomination, poi sconfitto da George Bush) e Barack Obama nel 2008.La sua forza è nella Generazione Millennio ma fa proseliti anche nella classe operaia e tra le Union sindacali. Su molti temi la Clinton si è spostata a sinistra, ha fatto proprie le posizioni radicali, per contenere l’avanzata di Sanders. Anche lei propone il raddoppio del minimo salariale, più tasse sui ricchi, nuove norme contro la speculazione di Wall Street. Su un terreno Sanders ha più credibilità: i rapporti tra denaro e politica. Molto più delle email top secret che transitavano dal suo indirizzo personale (scandalo cavalcato dalla destra) nella base democratica Hillary è danneggiata dai 600.000 dollari ricevuti come onorario per le sue conferenze alla Goldman Sachs, più i milioni di donazioni da Wall Street per la sua campagna elettorale. Lei obietta che un “socialista” non avrà mai la maggioranza dei voti nella sfida finale. Sanders è convinto di aver sdoganato la parola socialismo, che per molti giovani americani oggi è sinonimo di sanità pubblica e università gratuita. La Clinton sostiene che solo il suo pragmatismo può sbloccare l’agenda riformista trovando intese coi repubblicani al Congresso. Sanders al contrario sostiene che la sua “rivoluzione politica”, aumentando l’affluenza alle urne, può ribaltare i rapporti di forze e portare al Congresso una maggioranza progressista di proporzioni “rooseveltiane”. Il nonno che fa sognare la Generazione Millennio sarà un avversario coriaceo, a giudicare dal primo test.