la Repubblica, 2 febbraio 2016
Contro il gesto dell’ombrello di Matteo Salvini
Mi riconosco nel gesto dell’ombrello di Matteo Salvini (in tribuna d’onore al derby accanto al suo socio Berlusconi). A parti invertite – rigore sbagliato dal Milan – avrei fatto lo stesso anche io, perché il tifo, si sa, rende bestie. Con alcune differenze sostanziali, però. La prima è il gesto dell’ombrello lo avrei fatto a casa mia, nella felice condizione della bestia non esposta al pubblico. In pubblico, sorretto dalla buona educazione e/o dall’ipocrisia, non faccio gesti dell’ombrello. La seconda è che non sono il leader di un partito politico influente, probabile candidato premier, e dunque se anche fossi stato allo stadio (in un posto a pagamento, come capita a noi persone normali) avrei avuto la certezza di non essere inquadrato dalla tivù mentre compivo quel gesto da buzzurro definitivo. Mentre Salvini aveva la certezza matematica di essere inquadrato, e dunque quel gesto da buzzurro definitivo lo ha fatto nella piena consapevolezza di apparire pubblicamente un buzzurro definitivo, con conseguente rendita politica: da qualche anno, in Italia, esiste una particolare rendita politica per chiunque faccia o dica cose da buzzurro definitivo. La terza differenza è che se fossi un leader politico e decidessi di manifestarmi in pubblico come buzzurro definitivo, il gesto dell’ombrello non lo farei a raffica come Salvini, ma secco, una botta e via. Il gesto dell’ombrello a raffica, infatti, denota una propensione alla nevrastenia. E non sono sicuro che esista una rendita politica anche per i nevrastenici.